Finisce male. Proprio male. Certamente per Forza Italia. Ma in realtà per l’intera maggioranza. Con una lettura appena “drammatizzata”, verrebbe da dire che la “rivolta garantista” dei deputati berlusconiani, pronti ad approfittare del decreto “Intercettazioni” per tentare di rimettere l’intera materia in linea con la Costituzione, è stata “repressa nel sangue”. Si tratta, per carità, di semplice dialettica parlamentare. Eppure la vicenda svela una volta per tutte la vera identità dell’attuale centrodestra in fatto di giustizia penale.

Cosa è successo? Che c’era uno strano decreto, il 105, voluto con forza dalla premier Giorgia Meloni, annunciato nei giorni arroventati in cui cadeva fra l’altro l’anniversario della strage di via D’Amelio. In un Consiglio dei ministri che rappresenta un crocevia nella traiettoria dell’Esecutivo, lo scorso 17 luglio Meloni spiega perché sia urgente intervenire sui reati commessi con metodo o finalità mafiose: solo così, spiega la presidente, sarà possibile applicare a determinate condotte extra-associative gli stessi strumenti investigativi riservati al 416-bis, a cominciare dalle norme sulle intercettazioni.

A sollecitare il provvedimento è tra gli altri il procuratore nazionale Antimafia Giovanni Melillo. A illustrarne l’opportunità a Meloni è il sottosegretario alla Presidenza Alfredo Mantovano. Carlo Nordio, titolare della Giustizia, si dice d’accordo. E si va.

Solo che il provvedimento formalmente riqualifica tutti gli articoli della procedura penale relativi agli “ascolti”. Cosicché un coraggioso e soprattutto molto competente drappello di deputati forzisti, guidato dall’avvocato Tommaso Calderone, fa un paio di considerazioni. Primo: visto che l’iniziativa tocca il codice di rito, allora sarà pure il caso di “ripulirlo” delle iperboli introdotte da Alfonso Bonafede. Secondo: il decreto non solo ha la pretesa di correggere addirittura una sentenza della Cassazione, la 34895 del 2022, che aveva invece sancito l’impossibilità di estendere ai reati non associativi gli strumenti autorizzati per il 416 bis; non solo, perché, notano i forzisti, lo stesso decreto arriva a convalidare le intercettazioni acquisite prima ancora della propria entrata in vigore. Una bestemmia costituzionale, che prima o poi sarà sanzionata dalla Consulta, e che intanto i deputati di FI provano a censurare con uno dei loro quattro emendamenti.

Di fatto, i berlusconiani disegnano una provvidenziale “mini-riforma garantista” delle intercettazioni: basta pesca a strascico, se non nei limiti di un’altra pronuncia della Suprema corte, basta con lo sdoganamento dei trojan nelle indagini di corruzione, basta gip che autorizzano le intercettazioni con ordinanze “fotocopiate” dalle richieste dei pm, niente retroattività del decreto, appunto (perché, sapete, esiste il principio di legalità, non solo nella Costituzione italiana, all’articolo 25, ma prima ancora nella Convenzione europea per i Diritti umani), e basta annotazioni maliziose nei brogliacci, buone solo a far capire ai giornalisti che in quella conversazione non c’è nulla di utile alle indagini ma un sacco di roba succosa e sputtanante.

Direte: e come fa una maggioranza che si professa (anche) garantista a dire no a tutto questo? Come fa, considerato che le norme sull’uso dei trojan e sulla pesca a strascico sono figlie del tanto rinnegato, a parole, Alfonso Bonafede? E invece, come racconta l’articolo di Valentina Stella, dal governo ieri hanno fatto una telefonatina a Calderone e agli altri deputati azzurri delle commissioni Giustizia e Affari costituzionali, dove il Dl 105 è in fase di conversione: «Ritirate tutto, non siete autorizzati».

Un over rule chiaramente antigarantista. Imposto da un governo di centrodestra che sceglie Bonafede anziché la legalità costituzionale. Incredibile. Il tutto mentre al Senato, sulle intercettazioni, è stata appena elaborata una relazione “esplorativa” ancora da mettere ai voti. In cui, ovviamente, la gran parte del doveroso repulisti garantista proposto da FI alla Camera non ha diritto di cittadinanza.

Forza Italia, senza Berlusconi, può essere più facilmente travolta. Magari i suoi bravi e preparatissimi parlamentari-avvocati riescono anche a buttar giù emendamenti che, con il Cavaliere in vita, sarebbero stati prima passati al setaccio ad Arcore; ma la maggior libertà fa rima con una inesorabile evidente debolezza politica. Dall’altro versante, il terrore di FdI e Lega per qualche titolaccio dei giornali più in sintonia con le Procure è più forte delle promesse garantiste. Di più: i pm non sono mai stati così influenti come ora. Quando c’era lui, Bonafede, i soli interlocutori erano Davigo e Di Matteo. Il resto dell’Anm, travolta dal caso Palamara, era quasi bandito. Oggi, anche grazie al talento politico di Melillo, il gotha delle Procure italiane è in grado di dettare all’Esecutivo scelte decisive in materia penale e sull’ordinamento giudiziario. Carlo Nordio? È un signore. Che però nello specifico non può “goder tacendo” come nell’immaginazione letteraria cara al suo Veneto, ma al più, nel silenzio, può solo soffrire.