Nel giornalismo sportivo c’è un verbo che appare in maniera preponderante durante il periodo del calciomercato: si tratta dell’espressione “spunta”, riferita a qualche giocatore che entra nella trattativa tra due o più squadre. Lo stesso verbo è apparso stamattina a caratteri cubitali in un titolo del quotidiano La Verità: “Caso Anas-Verdini jr, spunta perizia segreta del figlio di Mattarella”. Il risultato? Suscitare una notevole suggestione nel lettore. Ma il tutto avviene attraverso una narrazione che non assume alcun significato rispetto all’inchiesta della Procura di Roma sulle commesse Anas. Perché il figlio del Presidente della Repubblica non è indagato, ma avrebbe semplicemente redatto un parere.

Altri giornali hanno dato conto dell’inchiesta, ma persino un quotidiano dall’indiscussa autorevolezza e sempre scrupoloso come il Corriere della Sera sembra aver concesso molto più spazio a temi marginali che ad elementi propriamente investigativi.

Allora bisogna chiedersi se davvero abbia ragione il responsabile Giustizia di Azione, Enrico Costa, che nel voler vietare la pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare intende, tra l’altro, proteggere dalla gogna mediatica i terzi estranei all’inchiesta. Come ha scritto su twitter, allegando l’articolo del giornale diretto da Maurizio Belpietro, “si prenda un’intercettazione irrilevante con nome celebre che non c’entra niente. La si metta agli atti ben sapendo che verrà diffusa e pubblicata, si infila il nome celebre nel titolo vicino a quello degli indagati. Ed il cocktail di fango mediatico giudiziario è servito”.

Facile infatti, come in questo caso, fare un pot pourri tra elementi rilevanti per l’inchiesta e questioni accessorie, a scopo di distrazione di massa, soprattutto per un giornale vicino al governo e presumibilmente orientato a spostare l’attenzione da personaggi vicini al ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini al figlio del Capo dello Stato, la cui storia politica è ben lontana da quella degli esponenti dell’Esecutivo.

Certo, a voler essere sinceri, delle volte sono anche gli avvocati difensori a usare la stessa tattica per dare in pasto alla stampa nomi di estranei importanti presenti nelle carte, in modo da attenuare la pressione sui propri assistiti. Ma questo è un capitolo da affrontare a parte. Tornando all’immediata attualità, se poi vogliamo prendere in esame quelle testate che hanno riportato gli estratti testuali dell’ordinanza, è facile rendersi conto di come, con l’approvazione dell’emendamento Costa, che renderà possibile, per i cronisti, proporre solo un riassunto dell’atto giudiziario – e quindi una formula del tipo “secondo il giudice tizio avrebbe commesso tali atti per questi motivi…” –, la nuova norma andrebbe ulteriormente a raffreddare la suggestione dell’informazione giudiziaria, improntata sempre in chiave colpevolista e voyeuristica.

È ragionevole dunque credere che questa situazione stia rafforzando al ministero della Giustizia la convinzione di aver fatto bene, dopo l’iniziale parere sfavorevole, ad appoggiare l’emendamento Costa. Certo, ora bisognerà vedere come il governo in fase attuativa modificherà l’articolo 114 del codice di rito (articolo che riguarda appunto il “divieto di pubblicazione di atti e di immagini”). Come hanno giustamente fatto notare, tra gli altri su questo giornale, il professor Glauco Giostra e l’ex presidente dell’Anm Eugenio Albamonte, rimettersi alla discrezionalità del giornalista potrebbe creare più confusione e più danni di quanti se ne possano scongiurare. Insomma, il caso Verdini sta diventando sempre più un vero e proprio caso politico, con pesanti e discutibilissimi riflessi istituzionali, proprio in virtù delle distorsioni prodotte dal processo mediatico preventivo.

Nei giorni scorsi, seppur non esplicitamente, le opposizioni, nel richiamare in Aula il leader del Carroccio per una informativa, lo hanno di fatto accusato, come espresso sarcasticamente da Daniele Capezzone, del “reato di fidanzamento”. Ora certi giornali chiamano in ballo addirittura il figlio di Mattarella. Tuttavia l’elemento forse più paradossale è che ormai la pubblicazione delle intercettazioni da parte della stampa è così avanzata da riportare persino i commenti in cui gli indagati smontano l’indagine: “È sempre la stessa storia: c’è qualcosa di politico che vogliono trovare e che non c’è, ma che vogliono trovare, perché uno è Verdini, ma in testa c’è Salvini...”. E qui a parlare, riferisce l’agenzia di stampa Agi, è – intercettato dalla Guardia di finanza – Denis Verdini, ex parlamentare, indagato nell’ambito dell’inchiesta. Nell’intercettazione, datata 12 luglio 2022, Verdini padre parla con suo figlio Tommaso e Fabio Pileri, socio di Verdini junior nella Inver, delle perquisizioni avvenute in precedenza: annota la Guardia di finanza che l’ex leader coordinatore nazionale di Forza Italia “sostiene che dalla lettura del decreto è tutta fuffa” e “il problema è da vedere che cosa altro c’hanno”. A ben guardare quanto sta accadendo, i cultori della materia, dai massmediologi ai giuristi esperti di comunicazione giudiziaria, dovranno aggiornare quanto prima i loro pamphlet.

Intanto Tommaso Verdini, finito agli arresti domiciliari lo scorso 28 dicembre nell’ambito dell’inchiesta, oggi si è avvalso della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio di garanzia davanti al gip. La stessa scelta è stata fatta dagli altri indagati raggiunti da misura restrittiva, tra i quali appunto Fabio Pileri. «L’indagine è durata due anni, il giudice ha impiegato cinque mesi per scrivere l’ordinanza e la scelta di avvalersi della facoltà di non rispondere era obbligata», ha sottolineato l’avvocato Alessandro De Federicis, difensore di Pileri, al termine dell’atto istruttorio, «abbiamo visto molte cose sulle quali avremmo da dire, ma in questa fase dobbiamo prima verificare l’entità dell’accusa». Settemila sono infatti le pagine dell’informativa dei finanzieri, consegnate ai legali difensori degli indagati poche ore prima degli interrogatori, e dunque impossibili da esaminare in così poco tempo.

«Due annotazioni – ha proseguito De Federicis uscito dalla Cittadella giudiziaria di Piazzale Clodio –: in questa inchiesta ci siamo dimenticati tutti della presunzione di innocenza e che i processi in Italia non si riescono più a fare a piede libero. Dopo due anni di indagini avevamo dato la disponibilità alla Procura, al deposito degli atti, a chiarire perché – ha spiegato il penalista – noi sappiamo di questa indagine da tempo, perché c’era stata una perquisizione nel luglio 2022. Tutto ciò non è avvenuto e oggi ci troviamo con le misure cautelari che privano della libertà persone che potrebbero essere innocenti. I fatti si chiariranno tra mesi e mesi nel processo, e in questo tempo gli indagati dovranno subire una privazione della libertà a nostro avviso sovradimensionata. Valutiamo il ricorso al Riesame».

Secondo il gip, le misure cautelari si sarebbero rese necessarie per il pericolo di reiterazione dei reati. Certo è che le dichiarazioni di De Federicis rendono alquanto attuale la necessità di approvare al Senato la riforma contenuta nel ddl Nordio che prevede l’istituto dell’interrogatorio preventivo della persona sottoposta alle indagini preliminari rispetto alla eventuale applicazione della misura cautelare.