Da un lato ci sono le procure, che non hanno dubbi sulla costituzionalità del dl intercettazioni: «Era quello che chiedevamo», ha detto ieri in audizione il procuratore nazionale Giovanni Melillo. Dall’altro ci sono i costituzionalisti, convinti che nel merito ( e nel metodo) il decreto rischi di risultare illegittimo, finendo col dare ragione ai dubbi di Forza Italia. È in salita la strada che il governo si troverà a percorrere per approvare il dl 105, il cui arrivo in aula è previsto per il 24 settembre. Dubbi trasversali, che evidenziano le criticità per la scelta di rendere retroattiva la norma, ma anche per l’abitudine a fare ricorso al decreto, un abuso, hanno sottolineato i docenti ascoltati ieri alla Camera, a cui porre fine.

Il primo a parlare è stato il procuratore della Dna, che ha sottolineato «l’esigenza», da parte delle procure antimafia, di risolvere la questione, posta al governo già a dicembre 2022. Tutto ruota attorno alla sentenza che ha considerato illegittimo l’uso degli strumenti antimafia in assenza di una contestazione per associazione mafiosa. Una sentenza che «preoccupa» in quanto andrebbe a innovare «il quadro di diritto vivente definito dalla sentenza Scurato», che riconosceva l’applicabilità della disciplina speciale anche ai reati commessi con metodo mafioso o al fine di agevolare gli scopi di un’organizzazione mafiosa. Già al Senato Melillo aveva invitato il legislatore a intervenire per «limitare la discrezionalità giudiziaria correlata a clausole generali che abbisognano di essere sostituite da rigorose e tassative prescrizioni legali», per evitare che «mutamenti di indirizzi interpretativi» si concretizzino nello stravolgimento «di esiti processuali legittimamente formati su indirizzi della giurisprudenza di legittimità, tanto consolidati da costituire diritto vivente».

Il decreto, dunque, risponderebbe al problema, «sottraendo la materia a oscillazioni» e ripristinando «i contenuti della sentenza Scurato». E la retroattività sarebbe un falso problema: «Ciò che conta, a mio avviso, è che la scelta sia razionalmente giustificata», anche perché «in mancanza di una norma transitoria si sarebbe potuto creare legittimamente il dubbio che la considerazione dei reati monosoggettivi di mafia avrebbe potuto trovare fondamento soltanto per il futuro e questo francamente avrebbe davvero destabilizzato i processi in corso», con «grave detrimento dell’efficacia dell’azione di contrasto antimafia». Per Ginevra Cerrina Feroni, professoressa ordinaria di diritto comparato presso l’Università degli Studi di Firenze, vicepresidente del Garante per la protezione dei dati personali e autrice di uno dei quesiti referendari per conto della Lega, le cose sono meno semplici.

Se estendere il raggio degli strumenti antimafia «è una discrezionalità politica del legislatore, fermo il limite della ragionevolezza dell’impianto normativo», sulla retroattività «qualche interrogativo da costituzionalista me lo pongo», perché si potrebbe accettare «l’acquisizione di una prova illegittima, secondo l’interpretazione più recente, al momento dell’assunzione. E questo potrebbe contrastare con i principi consolidati dalla Consulta ormai dagli anni ‘ 70 rispetto». Una possibile soluzione è applicare la norma ai procedimenti in corso solo per le intercettazioni ancora da svolgere. Critiche alle quali si aggiungono quelle di Alfonso Celotto, ordinario di diritto costituzionale all'Università degli Studi di Roma- Tre, che punta il dito non solo contro la scelta di un decreto «omnibus», cosa che potrebbe creare problemi di costituzionalità, ma anche contro la forma. Se questa estensione è una interpretazione autentica, «andrebbe a invadere l'attività giurisdizionale», nonostante la sentenza da “correggere” sia stata emessa da una sezione semplice e quindi ancora possibile oggetto di rimessione alle Sezioni Unite».

Se, invece, si tratta di una norma innovativa, allora la retroattività «crea un grave problema», andando a violare «l'articolo 25 secondo comma della Costituzione, perché non c'è possibilità, soprattutto in materia processuale, di incidere sui processi in corso». Un punto che il Parlamento dovrà necessariamente sciogliere «per non incorrere in gravi vizi di incostituzionalità». I dubbi di Forza Italia, però, ricalcano integralmente il pensiero di Gian Luigi Gatta, professore ordinario di diritto penale all'Università degli Studi di Milano e già consigliere giuridico dell’ex ministra Marta Cartabia, secondo cui il fatto che una sentenza di una sezione semplice abbia reinterpretato un principio affermato da una sentenza delle Sezioni Unite «è qualcosa di normale, di fisiologico nei processi di formazione della giurisprudenza», senza contare che la sua interpretazione «vincola per legge solo il giudice del rinvio». Certo, «il rischio è che quella sentenza faccia giurisprudenza e inauguri un nuovo orientamento», ha sottolineato Gatta, ma tale rischio viene normalmente affrontato dalla Cassazione. «Il rischio è che la toppa possa essere peggiore del buco» : la tecnica adottata per l’intervento normativo sembra, infatti, «porre nuovi problemi interpretativi e rischia di mancare l’obiettivo perseguito, cioè l’utilizzabilità delle intercettazioni disposte nei procedimenti in corso».

Il decreto-legge finisce, così, per fornire paradossalmente «argomenti per sostenere che l’estensione dell’ambito applicativo della disciplina derogatoria delle intercettazioni è stato realizzato solo ora e non può valere per il passato, cioè per le intercettazioni già disposte». C’è poi un problema di costituzionalità: se la norma è innovativa, gli atti da compiere sono regolati dalla nuova disciplina, mentre quelli già compiuti restano regolati dalla vecchia. Insomma, la norma non può essere retroattiva e l’intervento del governo «non può valere come una sanatoria per intercettazioni illegali nel momento in cui sono state disposte». Una possibile soluzione al pasticcio sarebbe quella di «chiarire che si tratta di una norma di interpretazione autentica che conferma l’interpretazione della sentenza Scurato e che è pertanto applicabile ex tunc, oppure, in alternativa, limitare espressamente l’applicazione della disposizione transitoria del secondo comma alle sole intercettazioni che debbano essere autorizzate, con esclusione di quelle già autorizzate».

Una strada «costituzionalmente imposta a garanzia dell’imputato e che con ogni probabilità sarà seguita dalla giurisprudenza». Oggi Forza Italia depositerà i propri emendamenti, «numerosi», fa sapere il deputato Tommaso Calderone. Sempre più convinto, alla luce delle audizioni di ieri, «che le nostre idee non erano poi così fuori strada».