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Con un gesto che potrebbe segnare una svolta epocale nella politica giudiziaria italiana, il governo ha scelto di non opporsi alla recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) riguardante l’abuso delle intercettazioni nei confronti di Bruno Contrada, rendendola così definitiva.
A fine agosto, una lettera inviata da Strasburgo all’avvocato Stefano Giordano, difensore di Contrada, ha segnato, silenziosamente, un cambio di prospettiva decisivo nel panorama giudiziario del nostro Paese. La missiva, datata 30 agosto, comunicava che la sentenza della CEDU sulla vicenda dell’ex “007” era diventata definitiva. Il governo italiano, non opponendosi, ha di fatto accettato una condanna che mette a nudo le falle del nostro sistema giudiziario.
Ma facciamo un passo indietro. Chi è Bruno Contrada e perché il suo caso è così importante? Ex funzionario dei Servizi segreti italiani, Contrada si è trovato al centro di un vortice giudiziario che ha messo in luce pratiche investigative a dir poco discutibili. Nel 2017, la Procura generale di Palermo, guidata dall’allora pg Roberto Scarpinato (oggi senatore del Movimento 5 Stelle e componente della commissione parlamentare Antimafia), insieme ai sostituti Domenico Gozzo e Umberto De Giglio, ha disposto l’intercettazione di ben cinque linee telefoniche utilizzate da Contrada.
Il motivo? Indagini sull’omicidio di Antonino Agostino, agente di polizia in servizio presso il commissariato, avvenuto nel lontano 1989. Il dettaglio cruciale? Contrada non era né indagato né imputato in quel procedimento. Come se non bastasse, nel 2018 la stessa Procura ha eseguito perquisizioni presso l’abitazione di Contrada e altri due immobili da lui utilizzati. La giustificazione ufficiale? «Esiste fondato motivo di ritenere, sempre sulla base di elementi acquisiti in questo procedimento, che Contrada abbia ancora la disponibilità di documenti». Una caccia al tesoro giudiziaria che, prevedibilmente, si è rivelata infruttuosa.
L’aspetto più inquietante di questa vicenda è emerso quando Contrada, casualmente, ha scoperto di essere stato intercettato leggendo il decreto di perquisizione. Un’invasione della privacy condotta in modo occulto, senza alcuna notifica preventiva o possibilità di difesa. L’avvocato Stefano Giordano, insieme alla compianta avvocata Marina Silvia Mori, ha portato il caso di Contrada a Strasburgo. La sentenza, emessa il 23 maggio 2024, ha inflitto un duro colpo al sistema giudiziario italiano. La Corte ha infatti riscontrato una violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei Diritti umani, relativo al diritto al rispetto della vita privata e familiare.
Ma la condanna va ben oltre il caso specifico di Contrada, evidenziando un problema sistemico: la legge italiana non offre sufficienti garanzie contro gli abusi nelle intercettazioni a carico di soggetti non direttamente coinvolti in un procedimento penale. In pratica, chiunque potrebbe essere oggetto di sorveglianza senza esserne a conoscenza e senza alcun mezzo di difesa.
L’avvocato Stefano Giordano, contattato dal Dubbio, ha espresso grande soddisfazione per la sentenza dei giudici di Strasburgo: «La Corte ha unanimemente riscontrato una grave lacuna nella legislazione italiana in materia di intercettazioni. Il ministro Carlo Nordio ha accolto positivamente questa decisione, e lo Stato italiano, non opponendosi, ha implicitamente riconosciuto l’esistenza del problema. La palla passa ora alla politica, che dovrà promuovere una riforma liberale dell’intera materia».
Giordano ha sottolineato come la legge italiana consenta di intercettare «qualsiasi cittadino ritenuto di interesse investigativo», anche in assenza di un’indagine a suo carico. Un punto cruciale, secondo l’avvocato, è la disparità di trattamento tra indagati e non indagati: «Chi non è indagato è meno tutelato rispetto a chi lo è». Infatti, mentre un indagato può contestare la legittimità delle intercettazioni, un semplice cittadino non ha questa possibilità. L’avvocato ha infine sottolineato l’urgenza di una riforma del sistema, enfatizzando la necessità di trovare un «equilibrio tra la tutela del diritto del difensore a valutare l’utilizzabilità delle intercettazioni e le esigenze repressive dello Stato».
Il caso Contrada è emblematico di un problema più ampio. In breve tempo, l’ex agente segreto è stato sottoposto a ben tre perquisizioni. L’ultima, avvenuta il 29 giugno 2018, ha portato al sequestro di materiale del tutto innocuo: un album fotografico, atti processuali pubblici e appunti per una lettera al magistrato Nino Di Matteo. Un risultato che solleva più interrogativi che risposte sulla metodologia di alcune indagini condotte da talune Procure, fortunatamente sempre meno diffuse, in virtù del progressivo ricambio generazionale.
La Corte di Strasburgo ha chiaramente evidenziato come la legislazione italiana non offra sufficienti garanzie contro gli abusi nelle intercettazioni. In particolare, manca una norma che consenta ai cittadini, oggetto di tali misure, di rivolgersi alla magistratura per verificarne la legittimità e ottenere un adeguato risarcimento in caso di violazioni. La sentenza della CEDU apre ora nuovi scenari. Il mancato ricorso del governo italiano ha implicitamente riconosciuto la necessità di una profonda riforma del sistema, volto a prevenire abusi e a garantire il pieno rispetto dei diritti fondamentali.