L'inchiesta sulla gestione del Covid nella provincia di Bergamo passa a Brescia, approdando al Tribunale dei Ministri. A trasferire gli atti in merito alla posizione di 15 persone è stata la procura di Bergamo, a seguito della richiesta avanzata dalla difesa dell'ex coordinatore del Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo - rappresentata dagli avvocati Gino Fabio Fulgeri e Mario Figliolia -, richiesta basata sul fatto che i reati a lui contestati sono ipotizzati «nella forma della cooperazione colposa» con l'ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte e l'ex ministro della Salute Roberto Speranza. Da qui «la piena applicabilità anche nei suoi confronti della norma che prevede la competenza del Tribunale dei Ministri, e di conseguenza dell'unico ufficio requirente che possa, con esso, interloquire», cioè la procura di Brescia, retta da Francesco Prete.

A tale richiesta i pm bergamaschi si erano inizialmente opposti, ma dopo l’ok del procuratore generale Guido Rispoli e dell'avvocato generale Domenico Chiaro gli atti sono stati trasferiti a Brescia per competenza funzionale. Per tutti gli altri indagati, tra i quali il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e l'ex assessore al Welfare Giulio Gallera, vale dunque lo stesso ragionamento fatto dalla procura generale per Miozzo, ovvero la «piena appicabilità della norma che prevede la competenza del Tribunale dei Ministri» data «la chiara consapevolezza di tutti di contribuire alla condotta altrui» nei reati di omicidio ed epidemia entranbi ipotizzati in forma colposa.

Conte e Speranza verranno intanto sentiti il 10 maggio a Brescia. Un’inchiesta “fragile”, quella che li vede coinvolti, secondo le difese, a partire dallo scoglio della configurabilità del reato di epidemia colposa, dalla quale discenderebbe poi l’accusa di omicidio colposo plurimo. Un problema che la Cassazione, a più riprese, ha chiarito: «In tema di delitto di epidemia colposa - recita la sentenza 9133/2017, ripresa dalla più recente 20416/2021 proprio in tema Covid -, non è configurabile la responsabilità a titolo di omissione in quanto l’art. 438 cod. pen., con la locuzione “mediante la diffusione di germi patogeni”, richiede una condotta commissiva a forma vincolata, incompatibile con il disposto dell’art. 40, comma secondo, cod. pen., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera». Per cui «in assenza di qualsivoglia accertamento circa l’eventuale connessione tra l’omissione contestata al ricorrente e la seguente diffusione del virus» non è possibile ravvisare «la sussistenza del nesso di causalità tra detta omissione e la diffusione del virus». Una difficoltà nota allo stesso procuratore di Bergamo Antonio Chiappani, che in un'intervista a Repubblica aveva evidenziato «un problema di configurabilità», nonostante il quale si è decisi di agire. E ciò per una questione di “giustizia sociale”, se così si può definire: «Di fronte alle migliaia di morti e alle consulenze che ci dicono che potevano essere evitati, non potevamo chiudere con una richiesta di archiviazione», aveva affermato.

L’inchiesta si troverà ora a dover essere gestita con una procedura diversa da quella “classica”. Composto da un collegio speciale – presieduto dalla giudice civile Maria Rosa Pipponzi e composto da altre due toghe civili –, il Tribunale ha 90 giorni di tempo, dalla trasmissione degli atti, per sentire il pubblico ministero, effettuare i propri approfondimenti, e decidere se archiviare il procedimento oppure trasmettere gli atti al procuratore della Repubblica. Nel primo caso, si tratta di una decisione non impugnabile, nel secondo caso il procuratore, per procedere, dovrà chiedere un’autorizzazione al Parlamento.

Se, da un lato, il rischio di inquinamento ambientale potrebbe risultare mitigato, dall’altro rimangono molti interrogativi rispetto alle accuse mosse dalla procura. «Sono diverse le criticità - fa sapere uno dei difensori -, a partire dalla ricostruzione del fatto. Alcune contestazioni appaiono inconsistenti, specie per quanto riguarda la parte riguardante il piano pandemico», la cui mancata attuazione avrebbe provocato, secondo la procura, 4mila morti evitabili.

«Dal fascicolo emerge chiaramente che è stato fatto tutto quello che, umanamente e scientificamente, si poteva fare», continua il legale. Secondo cui in questa vicenda emerge «quello che Filippo Sgubbi aveva dipinto come lo scenario ideale per il diritto penale simbolico e per dare delle risposte. Penso che scientificamente non stiano in piedi le accuse e lo diranno, se mai questo processo si farà, autorevoli studiosi. Tutte le azioni che andavano fatte sono state fatte, in un contesto - ricordiamolo - di gravissima carenza informativa da parte della Cina».

Ma non solo: «C’è una confusione terribile nella ripartizione delle competenze giuridiche e una scarsa conoscenza degli strumenti legislativi e normativi… tante, troppe le falle di questa inchiesta».