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PERCHÉ LA LEGGE DELEGA SULLE TOGHE VA VALUTATA CON UN PO’ DI REALISMO
Fra i danni collaterali della maledetta guerra di Putin all’Ucraina è da mettere, in Italia, insieme con l’indebolimento della maggioranza di governo, divisa sugli aiuti militari a Kiev ben al di là delle distinzioni parlamentari venute alla luce, una certa distrazione dell’opinione pubblica da temi come la giustizia. Che pure erano stati avvertiti con tanta intensità l’anno scorso da aver fatto raccogliere facilmente le firme richieste per i referendum promossi dalla combinazione politica inedita di radicali e leghisti. Inedita soprattutto per questi ultimi, approdati su sponde garantiste da posizioni ben diverse, rappresentate da quell’osceno cappio sventolato nell’aula di Montecitorio ai tempi di “Mani pulite” contro gli imputati politici, neppure condannati ancora in primo grado, di finanziamento illegale dei partiti, concussione, corruzione e quant’altro.
Anche i referendum rischiano di subire i danni collaterali di distrazione dalla guerra in Ucraina, aggravati dal loro abbinamento al primo turno delle elezioni amministrative indette per una data la più lontana possibile per i tentativi di abrogazione di leggi in vigore: il 12 giugno. Grava, in particolare, il rischio della invalidità per mancanza del cosiddetto quorum, cioè per affluenza alle urne inferiore alla metà più uno degli elettori aventi diritto al voto.
Persino il passaggio parlamentare della cosiddetta riforma della giustizia, riguardante l’elezione del Consiglio Superiore della Magistratura e alcuni aspetti dell’ordinamento giudiziario, sta avvenendo senza una grande mobilitazione favorevole o contraria tra la Camera, che la licenzia oggi, e il Senato che se ne dovrà occupare non si sa ancora se anche per cambiare o solo per ratificare, come avviene già per tante altre cose, a cominciare dal bilancio dello Stato. È notoria la pratica monocamerale introdotta surrettiziamente negli ultimi anni tra le deboli proteste del presidente dell’assemblea di turno, che viene sacrificata alle esigenze politiche della maggioranza, anch’essa di turno.
In verità, un pò di vivacità, e di sale, sulla riforma che mi lascerete chiamare col nome della ministra della Giustizia Marta Cartabia, si è avvertito solo a causa dello sciopero minacciato dall’Associazione nazionale dei magistrati. Che però all’ultimo momento vi ha rinunciato, almeno per il momento, pur confermando un forte stato di agitazione per il tentativo del governo di non farsi dettare per intero dalle toghe le norme da proporre al Parlamento, e di quest’ultimo di non lasciarsene condizionare del tutto esaminandole e votandole. È una vecchia storia, essendosi ripetuta già altre volte, direi anche troppe, nei decenni di progressivo arretramento della politica rispetto a una magistratura peraltro mai soddisfatta abbastanza degli spazi via via acquisiti nelle sue esondazioni.
Personalmente, e realisticamente, considerate anche le già ricordate circostanze di guerra in cui tutto sta avvenendo, mi accontento di una certa aria che riconosco cambiata rispetto al passato. E che è già costata parecchio alla ministra Cartabia, e allo stesso presidente del Consiglio Mario Draghi, nella recente corsa al Quirinale, nella quale l’una e l’altro non hanno praticamente potuto toccare palla. Anzi, quando Draghi ha cercato di affaccciarvisi con quella storia del “nonno a disposizione” dello Stato, ha subìto danni dai quali non si è del tutto ripreso, neppure dopo essersi salvato in qualche modo in corner convincendo il presidente della Repubblica uscente a farsi confermare.
I sensi o sintomi di una certa aria cambiata li avverto soprattutto nella maggiore partecipazione degli avvocati al sistema giudiziario e nelle cosiddette pagelle dei magistrati, insorti con forza non condivisibile ma comprensibile — considerando i loro interessi e abitudini— contro la prospettiva, finalmente, che risultino più chiaramente per iscritto, diciamo così, i loro errori condizionandone la carriera.
Il resto probabilmente toccherà farlo ad altri, e in un’altra legislatura, meno condizionata — per intenderci chiaramente — dai grillini e da quella parte del Pd ancora timorosa di scontrarsi fino in fondo con una magistratura onnipotente.