Sono riprese mercoledì scorso in commissione Affari Costituzionali alla Camera le audizioni sulle proposte di legge a favore della separazione delle carriere. Sono intervenuti Giorgio Spangher, professore emerito di Procedura penale alla Sapienza di Roma, Giuseppe di Federico, emerito di Ordinamento giudiziario all’ Università di Bologna, e di Daniela Cavallini, associata di Ordinamento giudiziario sempre a Bologna. Il primo, già componente laico del Csm, si è espresso in termini chiaramente favorevoli alla riforma: «Con riferimento al paventato condizionamento della magistratura da parte dell’esecutivo, non si considera», ha ricordato come «invece sia la politica a essere ostaggio della magistratura, come emerso dalle dimissioni di ministri e da crisi di governo: pensiamo a Mastella costretto a lasciare il ministero di Giustizia».

Secondo Spangher, il prevalere dei condizionamenti che dai magistrati si impongono sul legislatore è attestato anche, in tempi più recenti, «da modifiche normative richieste e ottenute come nel caso delle sezioni unite Cavallo», cioè della sentenza emessa dalla Cassazione in materia di intercettazioni, “corretta” con il decreto approvato proprio ieri alla Camera sulla spinta di quello che il professore definisce «un diktat della Dna».

Secondo il processual penalista, «deve ritenersi giunto il momento di fare la riforma», cioè di separare le carriere. «La politica farà le sue scelte: certamente non è più possibile che giudici e pm condividano la stessa casa, anche se non è detto che le due case siano necessariamente la fotocopia una dell’altra». Insomma, dice Spangher, «si faccia la riforma, anche affrontando il referendum. La stessa Anm ha detto che bisogna investire la società del problema, prospettando pregiudizi per la democrazia che sarebbero insiti nella modifica Costituzionale. Spetterà al popolo, nel cui nome sono emesse le sentenze, decidere se è proprio così».