In principio fu il Tribunale Penale Internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia (Tpi). Antenato dell’attuale Corte Penale Internazionale (Cpi) e tribunale ad hoc istituito il 25 maggio 1993 con la risoluzione 827 del Consiglio di sicurezza dell’Onu, fu infatti qui che il 12 febbraio 2002 si aprì il processo contro Slobodan Miloševic, presidente della Serbia dal 1989 al 1997 , presidente della Repubblica Federale di Jugoslavia dal 1997 al 2000 e tra i protagonisti politici delle guerre nella ex-Jugoslavia.

Prima corte per crimini di guerra costituita in Europa dalla seconda guerra mondiale, il Tpi fu chiamato a giudicare gli eventi avvenuti in 4 differenti conflitti: in Croazia (1991-95), in Bosnia- Erzegovina (1992-95), in Kosovo (1998-99) e in Macedonia (2001). A Miloševic furono contestati 32 capi d’accusa, tra i quali genocidio e crimini contro l’umanità.

Dopo la fine della guerra in ex-Jugoslavia, isolato a livello internazionale e interno (il Montenegro non riconosceva più le istituzioni federali), Miloševic si ricandidò alle elezioni del 24 settembre 2000, grazie ad una riforma costituzionale. Venne sconfitto da Vojislav Koštunica, un nazionalista moderato, a capo di tutta l’opposizione, e il 5 ottobre fu costretto, dopo una grande manifestazione con l’occupazione del parlamento, a riconoscere la sconfitta.

Il primo ministro serbo Zoran Dincic decise di consegnarlo al Tip il 28 giugno 2001, nonostante la contrarietà di Koštunica e di parte dell’opinione pubblica serba. Miloševic non riconobbe la validità legale del tribunale, facendo appello alle leggi del diritto internazionale e il suo trasferimento aprì una crisi politica nel paese portando alle dimissioni di Dincic ed evidenziando contrasti e malumori all’interno dell’alleanza politica che sosteneva Koštunica.

Tra il 2 febbraio 2002, giorno dell’apertura del processo, e l’11 marzo 2006, quando Miloševic fu trovato morto nella sua cella mentre era ancora in attesa di giudizio, successe di tutto. Secondo alcuni con il tentativo di difendersi politicamente non riconoscendo la legittimità del Tribunale, Miloševic volle rievocare il proprio ruolo di pluriennale interlocutore dell’Occidente e impedire che i giudici lo considerassero soltanto un criminale. La “Norimberga balcanica”, come fu soprannominato il processo, non avrebbe dovuto limitarsi alla ricostruzione poliziesca dei delitti, ma affrontare la genesi dei delitti stessi. Per punire il massimo responsabile dei massacri, ma anche per rivederli nel contesto politico, individuando complicità e responsabilità nella ex Jugoslavia e internazionali.

Inoltre, poiché il Tpi è stato istituito con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza n°827 del 1993, è stato sostenuto da parte di alcuni studiosi che la presa in carico da parte dello stesso tribunale di casi risalenti al periodo 1991-93 potesse violare il principio di nullum crimen sine lege, in quanto la Corte si sarebbe trovata a giudicare casi commessi prima della sua stessa istituzione. Tuttavia, lo statuto del Tpi prevede che il tribunale applichi il diritto umanitario internazionale che è parte del diritto consuetudinario, in modo da evitare il problema dell’aderenza di alcuni ma non di tutti gli Stati a convenzioni specifiche. In ogni caso, inevitabilmente gran parte delle attenzioni nel processo si concentrarono sul ruolo e la figura di Miloševic.

Miloševic fu accusato di aver svolto un ruolo chiave nel fomentare i conflitti etnici e nel dare ordine alle atrocità commesse durante i conflitti in Bosnia, Croazia e Kosovo e le accuse a suo carico comprendevano la pianificazione, la supervisione e l'esecuzione di crimini di guerra e crimini contro l’umanità durante le guerre nei Balcani. In particolare, si riferivano alle violenze etniche e alle persecuzioni contro gruppi musulmani, croati e albanesi.

Tra i crimini specifici citati ci furono il massacro di Srebrenica (dove circa 8mila musulmani bosniaci furono uccisi), la pulizia etnica durante il conflitto croato (1991-1995), e l’intensificarsi delle violenze contro la popolazione albanese durante la guerra del Kosovo (1998-1999).

Il processo vide l’uso di numerose testimonianze e prove documentali, tra cui le testimonianze di vittime, esperti e ex ufficiali militari, oltre a registrazioni audio e video che documentavano gli ordini e le azioni di Miloševic.

Un aspetto distintivo del processo fu l’autodifesa dell’imputato, che almeno inizialmente non si avvalse di un avvocato adottando una linea difensiva di auto-assoluzione per non aver avuto un ruolo diretto nelle atrocità commesse durante le guerre e sostenendo di essere vittima di una campagna internazionale.

Il processo non si è mai concluso con una sentenza definitiva perché l’11 marzo 2006, Miloševic fu trovato morto in carcere, ufficialmente per un attacco di cuore anche se poco prima della morte lo stesso presidente serbo aveva espresso timori che lo si stesse avvelenando. Per alcuni, la sua morte ha rappresentato una perdita di giustizia, poiché non è stata emessa una sentenza definitiva. Per altri, essa ha invece impedito che venisse dichiarato formalmente colpevole, rappresentando una sorta di “vittoria” per chi lo vedeva come un simbolo della resistenza contro l’Occidente.

In ogni caso, nonostante la morte il Tribunale pubblicò comunque un “riassunto” delle prove contro Miloševic, affermando che era colpevole di aver orchestrato e coordinato le politiche genocidarie e i crimini di guerra e in ogni caso il processo contro ha avuto un’importanza storica sotto diversi punti di vista.

È stato infatti il primo processo contro un capo di stato accusato di crimini internazionali di tale gravità, rappresentando un tentativo di portare giustizia alle vittime dei conflitti balcanici e contribuendo alla creazione di una giurisprudenza sui crimini di guerra e il genocidio. Tuttavia, ha anche dimostrato le difficoltà e i limiti dei tribunali internazionali, sia in termini di durata e costi, sia in termini di accesso a prove e testimonianze cruciali.

Il processo ha anche avuto un impatto significativo sulla politica serba e sul processo di riconciliazione nei Balcani, con molte persone che ancora oggi sono divise sul giudizio da dare alla figura di Miloševic, considerato da alcuni un martire e da altri un criminale di guerra.

Quel che è certo è che il processo contro l’ex presidente serbo ha rappresentato una pietra miliare nel diritto internazionale e nella giustizia penale internazionale, anche se, come detto, la morte del principale protagonista prima della conclusione ha impedito di ottenere una condanna formale.