Quello alla Iuventa – la Ong accusata di concordare i salvataggi con i trafficanti di vite – è un processo che può essere definito – ufficialmente, in qualche modo – “politico”. Lo si può dire dopo che ieri, a Trapani, dove è incorso l’udienza preliminare, le forze dell’ordine che hanno letteralmente blindato il Tribunale hanno spiegato che il presidio è necessario in quanto si tratta, appunto, di un «processo politico». Tant’è che a chiedere di costituirsi parte civile non è stato, come da prassi, solo il ministero dell’Interno, ma anche la presidenza del Consiglio dei ministri.

La ragione è duplice: il governo, stando alla richiesta di costituzione, avrebbe subito un danno morale, economico e di immagine. «Tali danni - afferma l’esecutivo - consistono in pregiudizi di natura patrimoniale, tuttora in corso di quantificazione, riconducibili a tutte le condotte latu sensu riparatorie, e cioè: attività di vigilanza dei confini, attività di rintraccio dei soggetti illegalmente entrati nel territorio nazionale, attività di rimpatrio dei medesimi, nonché, in via generale, utilizzo di mezzi e risorse umane sottratte ad altri compiti istituzionali delle Forze dell’Ordine. (...) Ma sussistono altresì danni all’immagine (...) in quanto dalla condotta illecita degli imputati deriva la lesione di un bene giuridicamente rilevante, ossia il diritto fondamentale al conseguimento, al mantenimento ed al riconoscimento della propria identità come persona giuridica pubblica». Insomma, l’intento del governo di fare la guerra alle Ong è chiaro. Ma prima di arrivare al processo la strada è ancora lunga e dissestata. Il gup dovrà pronunciarsi il 13 gennaio, ma a tenere banco ieri, ancora una volta, è stata l’impossibilità di portare a termine l’interrogatorio richiesto dal capitano Dariush Beigui, data la mancanza di interpreti adeguati al ruolo.

Da qui l’istanza di dichiarare la nullità della richiesta di rinvio a giudizio, con conseguente restituzione degli atti al pm, avanzata da Nicola Canestrini, legale, assieme a Francesca Cancellaro, di Beigui. L’interrogatorio, ha evidenziato l’avvocato, non si è infatti tenuto data l’assenza di interpreti, causa non imputabili all’indagato. E ciò nonostante la difesa avesse sottoposto all’autorità giudiziaria la problematica relativa al diritto dell’assistito di vedersi contestare le accuse in una lingua a lui comprensibile, come garantito dalla Direttiva 2010/64/Ue, diritto già messo a rischio dalla mancata traduzione integrale degli atti del fascicolo: l’unico atto in tedesco messo a disposizione dalla Procura è, infatti, l’informativa riassuntiva di polizia giudiziaria, ma non i numerosi allegati.

E la difesa ha evidenziato anche altre anomalie: nel corso del terzo tentativo di interrogatorio la videoregistrazione della Procura si è interrotta. Canestrini ha dunque «prudenzialmente» attivato il registratore del proprio cellulare, tenendolo in vista sulla scrivania. Una mossa non gradita dal pm, che ha intimato al legale di «spegnere il registratore» - nonostante la liceità del gesto -, senza però ottenere il risultato sperato. La difesa si è rifiutata di firmare il verbale, ma ciononostante il 7 dicembre è stato notificato a Beigui il decreto di fissazione di udienza preliminare, segno che la Procura ritiene correttamente espletato l’interrogatorio.

Canestrini ieri ha prodotto in aula i file registrati, mossa a cui la Procura si è opposta accusando il legale di aver effettuato una registrazione sleale e clandestina, e di fare ostruzionismo. Ma il giudice, dopo aver ascoltato l’audio, ha deciso di disporre una perizia, convocando quattro consulenti, che dovranno consegnare le conclusioni entro il 9 gennaio. «Non c’è alcun ostruzionismo - ha detto Canestrini - solo pretesa del rispetto dei diritti».