Perugia è una sede giudiziaria importante. Ha competenza a indagare sulle vicende in cui i magistrati di Roma compaiano come vittime o indiziati di reato. E negli ultimi giorni, il traffico di inchieste e notizie, sulle toghe del capoluogo umbro, è stato da ingorgo all’ora di punta.

Da una parte il lavoro condotto dalla pm Laura Reale e coordinata dal capo dell’ufficio inquirente Raffaele Cantone sui presunti accessi abusivi al database della Dna. Dall’altra le notizie che, con stereofonica puntualità, il quotidiano La Verità ha pubblicato, nel corso della scorsa settimana, sui rapporti fra altri due pm perugini, Gemma Miliani e Mario Formisano, con l’ormai ex cancelliere della Procura umbra Raffaele Guadagno. Una sorta di cocktail ad alta gradazione, reso esplosivo dal lunghissimo intervento del procuratore Cantone davanti alla commissione parlamentare Antimafia di giovedì scorso.

Quell’audizione ha sì offerto a deputati e senatori della Bicamerale un quadro un po’ più definito degli illeciti che si sarebbero consumati attorno agli archivi digitali di via Giulia, e contestati in particolare al sostituto della Dna Antonio Laudati e al finanziere Pasquale Striano, oltre che a 4 giornalisti. Ma è evidente che le parole di Cantone hanno totalmente lacerato il velo di riserbo che dovrebbe pur sempre avvolgere un’inchiesta penale, per quanto gravi possano essere le accuse per le quali si procede.

Si può dire che l’audizione di Cantone introduce una novità rispetto alle stesse norme sulla presunzione d’innocenza. Che regolano sì il rapporto fra magistrati e i giornalisti, ma a cui evidentemente sfugge l’ipotesi di notizie fornite dal capo di una Procura non in modo surrettizio, com’è avvenuto migliaia di volte negli ultimi anni, ma, in una forma tanto trasparente quanto doviziosa, con un’audizione parlamentare a porte aperte, com’è appunto avvenuto giovedì per il Procuratore di Perugia a Palazzo San Macuto.
E così il procuratore generale di Perugia Sergio Sottani ha avverto la necessità di diffondere a propria volta una nota per la stampa in cui, seppur con toni prudenti, comunica che non mancherà di «segnalare agli organi deputati al controllo quelle che potrebbero apparire eventuali anomalie comportamentali nell’esercizio della funzione giurisdizionale». Gli “organi deputati al controllo” sugli illeciti, disciplinari, dei magistrati, sono il Procuratore generale della Cassazione e il ministro della Giustizia. Sempre che il pg di Perugia Sottani non intraveda addirittura anomalie di altra natura, addirittura penale, in qualcuna delle vicende a cui fa riferimento.
Nel dettaglio, il magistrato requirente di più alto grado del distretto di Corte d’appello umbro ricorda nella nota stampa: «In questi giorni sono comparsi sugli organi di informazione degli articoli in cui si riporta il contenuto di interlocuzioni che sarebbero state intrattenute, all’interno della Procura della Repubblica di Perugia, tra un funzionario di cancelleria, sottoposto a procedimento penale per accesso abusivo a sistema informatico, e alcuni magistrati dello stesso ufficio perugino», e siamo alla parte riguardante i pm Miliani e Formisano e i loro scambi di messaggi con l’ex cancelliere Guadagno, finite agli atti del processo in cui quest’ultimo ha patteggiato una pena di 1 anno e 2 mesi e che si è concluso a dicembre.

Rispetto a questi rapporti, che La Verità, il giornale diretto da Maurizio Belpietro, ha appunto riferito nei giorni scorsi in tutti i più minuti dettagli, Sottani osserva che, «come avvenuto in passato per tutte le altre situazioni analoghe, questo Procuratore Generale ha attivato le proprie funzioni di sorveglianza sull’attività dei magistrati requirenti del distretto al fine di acquisire ogni elemento utile per consentire, eventualmente, agli organi istituzionalmente competenti di far piena luce sui fatti circostanziatamente segnalati».
Il caso Dna, l’indagine di Cantone e Reale su Striano e Laudati sembrerebbe sullo sfondo. Ma non è così, perché a questo punto il pg di Perugia scrive: «Appare necessario sottolineare come tale doverosa iniziativa di questo Procuratore Generale si colloca in un momento in cui la Procura della Repubblica di Perugia è impegnata in una indagine, che è balzata prepotentemente ed in modo deflagrante all’attenzione della pubblica opinione. Il quadro investigativo raccolto dalla Procura perugina, relativamente a presunti accessi abusivi da parte di una persona in servizio presso la Direzione Nazionale Antimafia», cioè il finanziere Striano, «è apparso di tale inaudita gravità da indurre ad una inusuale congiunta richiesta di audizione del Procuratore della Repubblica», Cantone, «unitamente al Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo», Giovanni Melillo, sentito dalla commissione Parlamentare Antimafia il giorno prima, cioè mercoledì scorso.

«Lo stato attuale delle indagini, complesse ed articolate oltre che estremamente delicate, è stato delineato dal Procuratore della Repubblica di Perugia nel corso delle pubbliche audizioni (anche al Copasir, ma in quel caso a porte chiuse, nda). Anche sul punto, l’attività di vigilanza sui rapporti con gli organi di informazione dei Procuratori del distretto impone a questo Procuratore Generale di verificare il corretto bilanciamento tra il doveroso diritto dell’opinione pubblica ad essere informata nella fase delle indagini ed il rispetto della presunzione di innocenza».
Una formula elegantissima per avanzare perlomeno un margine di dubbio sulla correttezza delle comunicazioni fatte da Cantone a Palazzo San Macuto rispetto al rigoroso perimetro che sarebbe imposto dal decreto Cartabia sulla presunzione d’innocenza – perimetro che non sarebbe stato oltrepassato se l’audizione in commissione Antimafia fosse avvenuta a porte chiuse.

Qui appunto il passaggio conclusivo del pg di Perugia Sottani, con le ventilate segnalazioni ai titolari dell’azione disciplinare per i magistrati, cioè pg di Cassazione e guardasigilli: «In conclusione, l’attività di questo Procuratore Generale, nei rigorosi limiti delle proprie attribuzioni, viene svolta sempre nella duplice direzione di evitare attacchi strumentali alla funzione giudiziaria ed ai magistrati requirenti che la incarnano e, contestualmente, di segnalare agli organi deputati al controllo quelle che potrebbero apparire eventuali anomalie comportamentali nell’esercizio della funzione giurisdizionale».
Che qualcosa di irrituale fosse avvenuto, nelle ultime ore, con la “discovery” istituzionale ma anche mediatica proposta da Cantone, era evidente (ed è stato non a caso rilevato dal direttore di questo giornale con un’editoriale pubblicato venerdì scorso). Ma certo, a questo punto il corto circuito cognitivo tra segreti violati, archivi setacciati, veline trasmesse ai giornali, è così vorticoso da infliggere l’ennesimo esiziale colpo alla credibilità della magistratura, e del sistema giustizia nel suo complesso. Tanto che fanno sempre più sorridere le riserve espresse sulle iniziative con cui il ministro Carlo Nordio vorrebbe rafforzare i presidi a tutela della riservatezza e della dignità degli indagati, per non dire dei terzi estranei a qualsiasi ipotesi d’accusa.