Lo abbiamo detto e lo ribadiamo: la storiaccia del presunto dossieraggio impacchettato negli uffici dell'antimafia e consegnato ai giornalisti “amici” è solo l'ultimo atto, l’evoluzione finale del Frankenstein mediatico-giudiziario. E’ l’esito inevitabile di un “processo” iniziato con Tangentopoli, quando stampa e procure marciavano unite per affondare una intera classe politica, e finito col Sistema descritto Palamara, ovvero con la creazione di un contropotere politico-giudiziario che decideva nomine e carriere sulla base della dialettica amico-nemico.

Oggi scopriamo però un terzo soggetto che è implicato ben più di quanto immaginassimo: i giornali. Quel Sistema poteva e può ancora contare su una rete di giornalisti “engagé” ai quali passare informazioni in cambio del silenzio, della rinuncia alla funzione di controllo del potere giudiziario. Emerge dunque il ritratto di un giornalismo che non solo va a braccetto con pezzi di establishment, ma diventa esso stesso potere, Sistema.

C'è però, in tutta questa storia, un problema, una contraddizione che un giornale come il nostro non può far finta di non vedere. Quel che sta accadendo in commissione antimafia è il trionfo del processo mediatico-giudiziario. Mentre si denuncia il clamoroso dossieraggio partito dagli uffici della Dna, in quello stesso momento, si celebra un vero e proprio processo a carico di agenti, magistrati e giornalisti, senza possibilità alcuna di difesa, senza contraddittorio.

Intendiamoci, non siamo ingenui: sappiamo bene che questa storia tocca i fondamentali della nostra democrazia e siamo certi che sia il procuratore antimafia Melillo che il procuratore di Perugia Cantone non agiscono per tutelare se stessi ma per proteggere e custodire le istituzioni democratiche. Di più: il Parlamento, ovvero la casa di vetro dei cittadini italiani, è il luogo ideale nel quale denunciare quel sistema.

Eppure non possiamo chiudere gli occhi di fronte al corto-circuito che questo processo pubblico rischia di provocare: ovvero un nuovo massacro dei diritti degli indagati, una involontaria fuga di notizie, una ennesima picconata alla presunzione di innocenza. Quella audizione andava fatta, certo, ma a porte chiuse. Anche perché, nel frattempo, nuovi poteri e nuovi “sistemi” stanno raccogliendo questa massa di informazioni per riorganizzarsi e sostituire chi oggi è alla “sbarra”.