Una cinica intimidazione verso un uomo terrorizzato, con la moglie e la figlia in stato di arresto, convinto dai magistrati che avrebbe passato la vecchiaia in prigione. La confessione di Antonio Panzeri, il grande pentito del Qatargate, sarebbe dunque stata estorta dalla polizia belga con metodi discutibili, facendo tintinnare le manette ed esercitando un’inaudita pressione psicologica; è quanto denunciano Laurent Kennes e Marc Uyttendaele i suoi avvocati difensori accusando gli inquirenti e in particolare il giudice-sceriffo Michel Claise di «slealtà».

È il 9 dicembre del 2022, l’ex europarlamentare ed ex sindacalista della Cgil viene arrestato con un “bottino” di 600mila euro in contanti: un dono del Qatar e del Marocco per la sua presunta opera di lobbismo nelle istituzioni europee a favore di Doha e Rabat, giura la procura di Bruxelles anche se fino ad oggi non c’è mai stata prova di favoreggiamento nelle sedi ufficiali.

Intanto i giornali sparano titoli a nove colonne evocando l’inchiesta del secolo, il più grande sandalo nella storia dell’Ue, un hype alimentato per mesi prima che l’inchiesta si sgonfiasse come un palloncino, costellata com’è da ripetute violazioni del diritto difesa. Come racconta Uyttendaele nelle ore che seguono l’arresto Panzeri viene isolato e privato di assistenza legale: «Ci hanno detto che aveva rinunciato lui stesso a un difensore ma non era vero».

L’interrogatorio dura una notte intera e gli inquirenti minacciano Panzeri di conseguenze catastrofiche in caso di mancata collaborazione: 15 anni di prigione, che però sarebbero potuti diventare appena sei mesi se avesse confessato e soprattutto se avesse consegnato «due nomi» ai magistrati. Preso dal panico Panzeri si auto-incrimina citando gli europarlamentari Marc Tarabella e Maria Arena; il primo verrà arrestato, la seconda soltanto indagata.

Al colloquio con Claise l’avvocato c’è, ma è d’ufficio: «Uno stratagemma» della procura tuona Kennes per il quale l’interrogatorio era del tutto illegale in quanto Panzeri non era in grado di comprendere le conseguenze legali delle sue parole senza l’assistenza del suo difensore.