IL CORSIVO

Più ci si avvicina al 25 settembre, più le offerte, sul mercato della politica, si fanno nitide. C’è il contraddittorio ma compatto fronte liberal- sovranista del centrodestra che si prepara a far man bassa di consensi. IL CORSIVO

Più ci si avvicina al 25 settembre, più le offerte, sul mercato della politica, si fanno nitide. C’è il contraddittorio ma compatto fronte liberal- sovranista del centrodestra che si prepara a far man bassa di consensi e collegi. C’è il nuovo grillismo di Conte, ormai sempre più posizionato sul versante sinistro del panorama. C’è il draghismo convinto, ostentato e ribadito fin dal primo giorno della coppia Calenda- Renzi. E poi c’è il Pd, la cui proposta politica rimane ignota ai più. Fatto salvo il concetto della “responsabilità”, cosa propone il maggior partito del centrosinistra all’elettorato? Difficile decifrarlo, perché la campagna elettorale di Enrico Letta appare annebbiata, monca, a tratti incomprensibile. Partiti con l’Agenda Draghi nel taschino quella per intenderci che rendeva impossibile un apparentamento col M5S nonostante il Rosatellum - via via i dem hanno finito per smarrire qualsiasi punto di riferimento. Una mano a stringere Calenda ( con cui il Pd aveva chiuso un accordo poi stracciato dal leader di Azione) e una mano a tenere Fratoianni ( l’alleato elettoralmente più consistente tra quelli rimasti). E così, in questo turbinio emotivo, tra slanci laburisti e tentazioni centriste, il Nazareno sembra essere andato in tilt, privo di un racconto coerente e credibile. Dissociarsi dal blairismo con trent’anni di ritardo o criticare il Jobs Act che tutto il partito aveva votato e sostenuto non servirà a riavvicinare i delusi oggi tentati da Conte. E la stessa grancassa sul “voto utile” per arginare il “rischio fascismo” in Italia suona come un disco rotto ( fabbricato all’epoca del berlusconismo) che nessuno ascolta più.

Per non parlare della storiella del bipolarismo - Pd da un lato e il centrodestra dall’altro - che solo Letta continua a raccontare. Secondo tutti i sondaggi, infatti, non solo la coalizione di Meloni sembra essere destinata al trionfo, ma tra i suoi oppositori spiccano almeno tre poli: il Pd, il M5S e la nuova aggregazione calendiana. Ed è proprio per far fronte alla crescita colpevolmente imprevista degli ex alleati che la campagna del Nazareno è forse impazzita, tutta giocata in difesa, a coprire i fianchi scoperti, senza un’idea originale e credibile da proporre. E continuare a chiedere il voto degli italiani solo per ottenere almeno il “premio di consolazione” di diventare prima lista nel Paese non sembra un colpo di genio.