Le aperture dell’ex Guardasigilli Paola Severino su possibili modifiche alla legge che porta il suo nome riaccende il dibattito nel Pd sul posizionamento del partito in vista dei prossimi referendum sulla giustizia. Tra i quali proprio quello che prevede la cancellazione della legge Severino, mentre prosegue il cammino parlamentare dei provvedimenti messi in piedi proprio dai dem per modificare alcune parti della legge.

«La Severino ha parlato di un quadro in cui i giudizi di secondo grado sugli amministratori spesso non hanno confermato quelli di primo grado, ma questo non cambia la nostra posizione sul referendum - spiega al Dubbio Walter Verini, tesoriere del Pd e membro della commissione Giustizia di Montecitorio - L’approvazione del quesito referendario provocherebbe non l’intervento chirurgico che servirebbe su alcune parti della legge ma avrebbe un effetto demolitore, permettendo la candidatura di mafiosi e delinquenti».

L’esponente dem mette in guardia anche dal pericolo opposto, cioè il non raggiungimento del quorum o la vittoria dei “No” alla cancellazione della legge. «Se per caso quel referendum non raggiungesse il quorum o vincessero i No, il messaggio sarebbe “non toccate la Severino” e quindi sarebbe poi più difficile modificarla in Parlamento ragiona Verini - per questo è importante portare avanti con convinzione il percorso in Aula dei nostri provvedimenti che mirano a modificare in maniera puntuale alcuni parti della legge oggettivamente rivedibili».

Ma il Pd viene accusato di ipocrisia da chi, negli anni, si è speso con maggiore decisione nel superare la tagliola che la legge dell’ex ministra della Giustizia del governo Monti impone agli amministratori locali condannati in primo grado. Come Enrico Costa, responsabile Giustizia di Azione. «Assisto con un po’ di sconcerto al fatto che tutti i partiti, a turno, abbiano vissuto il loro periodo forcaiolo per andare dietro al Movimento 5 Stelle - commenta amaro - È accaduto sia nel governo gialloverde che in quello giallorosso». Secondo l’esponente del partito di Carlo Calenda «è possibile che il Pd ora si desti, sulla spinta di alcuni suoi sindaci colpiti dalla Severino e quindi sospesi», ma «tanto i dem quanto la Lega su questo tema sono stati innamorati del M5S, gli sono andati dietro e questo è il risultato».

A questa lettura tuttavia Verini non ci sta e risponde per le rime. «Se mi è consentito, combattere la penetrazione della criminalità organizzata dentro lo Stato e dentro le istituzioni precede di qualche anno l’impegno della sinistra e anche del Pd rispetto al Movimento 5 Stelle - sottolinea il tesoriere dem - La legge Severino venne approvata durante il governo Monti, che noi sostenemmo, quando Grillo faceva ancora gli spettacoli a teatro: è vero, il Pd è subalterno a qualcosa, ma quel qualcosa è solo ed esclusivamente la Costituzione».

A dar manforte alla spinta parlamentare per modificare la legge è Matteo Ricci, primo cittadino di Pesaro e responsabile dei sindaci dem. «La modifica della Severino è una sfida che si deve giocare in Parlamento - rilancia Ricci - È questo l’appello che noi sindaci del Pd rivolgiamo a tutti coloro che vogliono cambiare la legge, per garantire la continuità del mandato fino ai tre gradi di giudizio almeno per i reati minori».

Secondo il sindaco di Pesaro «dopo la bocciatura da parte della Consulta dei quesiti su cannabis e fine vita sarà quasi impossibile raggiungere il quorum al referendum» e per questo motivo «i sindaci chiedono a tutto il Parlamento di prendere atto della questione e valutare l’oggettività di una norma che va contro lo stato di diritto». Per poi citare le cifre della discordia.

«A parlare sono i numeri - chiosa Ricci - l’ 80 per cento dei sindaci condannati per reati minori in primo grado sono stati poi assolti in appello o Cassazione».