Le capacità di un candidato che ambisce a superare un concorso pubblico per lavorare nella PA e per entrare nelle Forze armate passano anche attraverso la somministrazione di test psicoattitudinali. Non sono esclusi, in alcuni casi, coloro che partecipano a selezioni aziendali, colloqui per lavorare negli istituti bancari o per entrare all’università. I test servono a valutare le capacità del candidato in ambiti diversi, che possono andare dalla comprensione verbale alle competenze linguistiche. In base all’ambito lavorativo le prove sono personalizzate e sono volte a individuare le migliori risorse umane per un determinato impiego. È opportuno, però, fare una premessa e una distinzione.

Esistono i test attitudinali e i test psicoattitudinali dai quali derivano differenti approcci di selezione. I primi offrono la possibilità di conoscere le abilità tecniche, logiche e matematiche del potenziale assunto. I test psicoattitudinali, invece, permettono ai selezionatori di avere un quadro il più completo possibile sulle capacità cognitive del candidato e sulle caratteristiche personali. La loro utilità sta nel fatto che consentono di conoscere la sfera psicologica e le cosiddette “soft skills”, vale a dire le capacità e le competenze personali, e le attitudini nel ricoprire un certo ruolo. Le due tipologie dei test sono imparentate tra loro, nel senso che vertono su domande a risposta multipla e-o chiusa a cui rispondere in un arco temporale prestabilito.

Le domande mirano alla comprensione verbale di testi strutturati e al ragionamento logico. Il più delle volte i quesiti sono a trabocchetto perché intendono testare la sincerità del candidato. I quiz psicoattitudinali fanno parte della famiglia dei test psicometrici, che, a loro volta, si dividono in test attitudinali, test di abilità e test della personalità.

L’importanza dei test psicometrici è data dalla possibilità di valutare il comportamento, l’attività psichica e la personalità del candidato. Il metodo di valutazione consiste nel confrontare i risultati dei candidati con specifici parametri statistici standard, tali da fare una valutazione obiettiva e statisticamente significativa. Una delle caratteristiche più importanti dei test psicoattitudinali è la retrospettività. Questo elemento consente di conoscere le esperienze acquisite dal candidato e quello che è più portato a fare nel presente.

Esistono diverse tipologie di test psicoattitudinali. Uno dei più diffusi in Italia è l’ITAPI-G Test. Serve a far emergere i tratti comportamentali e caratteriali come l’introversione, l’empatia, la difensività, la dinamicità, l’immaginazione, la coscienziosità e la vulnerabilità. Un altro test per le selezioni psicoattitudinali è il “Minnesota multiphasic personality inventory” (Mmpi). Permette di studiare le caratteristiche, normali e patologiche della persona. Gli ambiti di utilizzo sono la psicologia del lavoro (per la selezione del personale, la valutazione di candidati nei concorsi),

e la psicologia giuridica (perizie e consulenze). Questo tipo di test è nato per finalità mediche, quindi non misura il quoziente intellettivo. Permette, però, di scoprire patologie di natura psichiatrica, nevrosi, psicosi. Il “Minnesota” ha più di ottant’anni - risale al 1942 -, ma più volte è stato sottoposto a delle revisioni ed aggiornamenti.

Interventi che hanno tenuto conto dei mutati scenari sociali e culturali nel corso dei decenni. Il “Minnesota” è composto da 567 affermazioni (“item”); per ognuna di queste si deve indicare “vero”, “falso”, “prevalentemente vero” o “prevalentemente falso”.

Chi affronta il “Minnesota” ha di solito a disposizione 120 minuti. Gli psicologi evidenziano che per rispondere a tutti gli item sono necessari fra i 60 e i 90 minuti. Secondo gli esperti, chi conclude il test in meno di un’ora ha dedicato una scarsa attenzione alla lettura degli item. Superato il “Minnesota”, l’altra fase consiste nel colloquio con lo psicologo o lo psichiatra per la valutazione finale.

La somministrazione del “Minnesota” o di altri test psicoattitudinali consente di avere un quadro chiaro delle caratteristiche psicoattitudinali di chi ambisce a ricoprire un determinato posto di lavoro. Obiezioni che derivano da pregiudizi o ubbie di casta, in un mondo che viaggia a velocità impressionante dove siamo sottoposti a innumerevoli e sempre nuovi stimoli, non hanno ragione di esistere.

È di questi giorni la pubblicazione della quarta edizione, a cura di Axa, del “Mind Health Report”. L’indagine è stata condotta anche in Italia da Ipsos e ha affrontato i temi del benessere mentale. A livello europeo il 32% della popolazione riporta una forma di disturbo mentale (il 5% se confrontato al 2022). In Italia la percentuale scende al 28%, ma il dato è cresciuto di 6 punti rispetto al 2022.

Forme varie di disagio si tendono a sottovalutare. Tra i campanelli d’allarme i curatori della ricerca hanno individuato la scarsa consapevolezza sui disturbi mentali e un crescente ricorso all’autodiagnosi e all’autogestione. Inoltre, i problemi di benessere mentale legati a lavoro stanno raggiungendo livelli allarmanti, anche se le persone, in generale nel mondo, non sembrano considerare il lavoro la causa principale delle loro difficoltà.