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«Rivedere la legge sulle misure di prevenzione non vuol dire fare un regalo alle mafie, non significa indebolire la lotta contro la criminalità organizzata. Vuol dire evitare che la vita di persone innocenti venga distrutta nuovamente. Com’è capitato alla mia famiglia». L’appello a Giorgia Meloni arriva da Pietro Cavallotti, vittima di sequestro da parte dello Stato. Le aziende di famiglia, tra le quali la Comest srl, sono tenute sotto sigilli dallo Stato dal 1999. Durante i lunghi anni dell'amministrazione giudiziaria, sono stati ceduti rami d'azienda, la sede operativa è stata distrutta. Fatti che sono stati oggetto di un esposto da parte della famiglia Cavallotti all'autorità giudiziaria che sino ad ora non ha riscontrato alcun reato nella pluridecennale gestione commissariale.
Nel 2011, nonostante il definitivo proscioglimento dall’accusa di associazione mafiosa contestata a Gaetano, Vincenzo e Salvatore Vito Cavallotti, il sequestro si è tramutato in confisca da un collegio presieduto da Silvana Saguto, ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, radiata dalla magistratura e condannata per l’illecita gestione dei beni confiscati alle cosche. Motivo? Vengono considerati indizi di pericolosità quegli stessi elementi che i giudici penali avevano ritenuto incapaci di provare l’accusa di mafia. Ovvero elementi di contiguità con i boss Ciccio Pastoia e Benedetto Spera, vicinissimi a Bernardo Provenzano. Da qui la confisca dei beni, che dopo essere stati per anni in mano dello Stato sono ridotti a macerie. E ciò nonostante i Cavallotti si siano sempre dichiarati innocenti, vittime, semmai, delle estorsioni dei clan.
Nel 2016 i tre imprenditori hanno proposto distinti ricorsi (curati da Baldassare Lauria e Alberto Stagno d’Alcontres) in Europa, ricorsi ai quali la Cedu ha risposto ponendo alcune questioni al governo italiano, prima fra tutte se la confisca dei beni a soggetti assolti in un processo penale non violi la presunzione di innocenza. La Corte chiede inoltre di sapere se «le autorità nazionali abbiano dimostrato che i beni confiscati avrebbero potuto essere di provenienza illecita in modo motivato, sulla base di una valutazione obiettiva delle prove fattuali, e senza basarsi su un mero sospetto» e «se l’inversione dell’onere della prova quanto all’origine legittima dei beni acquisiti molti anni prima abbia imposto un onere eccessivo ai ricorrenti». In una lettera indirizzata all’Agenzia dei beni confiscati, alla presidente Meloni e ai ministri dell’Interno e della Difesa, Vito Cavallotti chiede ora di sospendere «qualsiasi eventuale iniziativa volta all’utilizzo dei beni oggetto della confisca di prevenzione» fino alla decisione della Cedu «o, in subordine, fino alla comunicazione da parte del Governo italiano delle sue determinazioni», che dovranno essere comunicate entro il 13 novembre.
«Una sentenza di accoglimento sarebbe la fine del calvario che la mia famiglia ha sofferto - spiega Pietro Cavallotti al Dubbio -. Ma non solo: per tutto il Paese sarebbe un grande passo avanti, perché per la prima volta verrebbe riconosciuto il fatto che il sistema di prevenzione contrasta in alcuni suoi aspetti con la Convenzione europea. E se ciò dovesse accadere, la politica, che fino ad ora è rimasta sorda alle nostre richieste di revisione normativa, dovrà intervenire. C'è da rivedere, per esempio, il rapporto tra processo di prevenzione e processo penale, l'uso di presunzioni e di meri sospetti che ha soppiantato la ricerca della prova. Ma soprattutto occorre impedire che una persona assolta per gli stessi fatti si veda portare via tutto il patrimonio, impendo con questo che la giusta lotta alla mafia si trasformi in una inaccettabile persecuzione di innocenti. Come diceva Falcone, la lotta alla mafia non si fa con le misure di prevenzione in assenza di prove, ma attraverso il rigoroso accertamento dei reati. Su questi temi fino ad ora non è stato possibile discutere, nonostante da parte di alcuni partiti sia stata mostrata una certa apertura. Ci vorrà forse una sentenza di condanna per far aprire gli occhi alla politica». La Cedu non solo ha dichiarato ricevibile il ricorso, ma ha posto al governo tutta una serie di questioni che toccano i punti nevralgici del sistema di prevenzione. E l’esito di questo procedimento potrebbe diventare una sentenza pilota per decidere casi analoghi. Cavallotti, nel corso della passata legislatura, si era fatto promotore di una proposta di legge, scritta con il Partito Radicale e fatta propria da Forza Italia - a condividerla anche l’attuale viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto -, proposta poi finita in un cassetto a causa della caduta del governo. E ora, tra i ddl pendenti, gli unici testi che si occupano di misure di prevenzione hanno un unico obiettivo: la gestione dei beni e la loro destinazione, ignorando tutto il percorso che porta alla loro confisca. La “proposta Cavallotti” mirava invece ad estendere le garanzie penali tradizionali al processo di prevenzione e di istituire un fondo per le aziende dissequestrate. Uno spiraglio però sembra essersi aperto: a sostenere la necessità di mettere mano alla normativa è anche Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera in quota FI. «Voglio rivolgere un appello a Meloni affinché si renda conto che non si tratta di indebolire la lotta alla mafia, ma di distinguere i mafiosi dagli innocenti - spiega ancora Cavallotti -. Questo Governo ha fatto della lotta alla mafia una sua priorità. Condivido questa priorità. Aggiungo però che l'altra priorità dovrebbe essere quella di impedire che persone innocenti, come i miei familiari, siano distrutte. Mi rendo conto che la revisione del sistema delle misure di prevenzione non è nel programma della coalizione. Ma, di fronte ad una calamità che miete vite umane e distrugge patrimoni, un governo ha o no il dovere di intervenire? E questo governo, che non ha di certo la colpa delle modifiche che hanno trasformato un giusto strumento di contrasto alla mafia in un inaccettabile mezzo per distruggere innocenti, può avere il grande merito di porre fine ad una clamorosa ingiustizia, riportando l'attuale sistema delle misure di prevenzione a ciò che era in principio la legge Rognoni La Torre. Non ci può essere efficacia senza garanzie, non ci può essere lotta alla mafia senza il rispetto dello Stato di Diritto. Non c'è lotta alla mafia se si calpestano cittadini innocenti».
Nove aziende su dieci sottoposte a sequestro e finite in mano agli amministratori giudiziari - quindi allo Stato - falliscono, continua Cavallotti. Che si chiede: «Che risultati abbiamo raggiunto in tutti questi anni di lotta alla mafia?». Non esistono, però, dati statistici su quante persone innocenti - mai rinviate a giudizio o processate e assolte - siano state colpite da misure di prevenzione. Da qui la necessità, evidenziata ancora una volta da Cavallotti, di avviare un'indagine conoscitiva. Che è difficile da chiedere ad una politica che «appena sente pronunciare la parola mafia si sottrae dal confronto».
«Alla politica voglio chiedere di riflettere sugli effetti che una confisca può avere: perdere tutto dall’oggi al domani, non poter più lavorare, non poter mandare i figli a scuola, non poter fare la spesa - continua -. Se gli effetti sono questi, quali garanzie dobbiamo prevedere?. Quando si legifera non si può partire solo da fini ideali che poi non vengono raggiunti senza confrontarsi seriamente con i risultati e talvolta con i disastri prodotti». Le risposte del governo saranno importanti per capire quale sarà il futuro di queste norme. Che però l’esecutivo potrebbe anche voler mantenere inalterate. «Se così fosse - aggiunge Cavallotti - sarebbe una grande occasione persa per l'Italia. Spero che questo non accada». La richiesta di sospensiva risponde ad un’esigenza reale: i beni dei Cavallotti sono già stati danneggiati e rischiano di diventare inutilizzabili. «Per assurdo - conclude - se i beni venissero assegnati a qualche associazione e la Cedu dovesse darci ragione non riavremmo le nostre case che hanno per noi un grande valore affettivo, ma l’equivalente in denaro. Beni che nel frattempo sono stati vandalizzati: i ladri hanno portato via tutto, anche le piastrelle e i sanitari. Chi ci dovrebbe risarcire? L’Agenzia che non ha vigilato e che dice di non avere risorse? Ci sono danni che si potevano evitare e che non potranno mai essere risarciti. Altri, però, si possono ancora scongiurare».