In un'intervista al Giornale, il Generale Mario Mori non ha dubbi nell'affermare che l'organizzazione criminale di Cosa Nostra sia «morta» e che l'arresto di Matteo Messina Denaro, le cui condizioni cliniche sono sempre gravi, sia giunto troppo tardi. L'ex comandante del Ros, che coordinò le indagini nel 1992 al fine di catturare l’allora "capo dei capi" Totò Riina, parla anche della sua vicenda giudiziaria. «Adesso attacco e comincio a divertirmi io. Mi sto curando, faccio ogni giorno 4-5 chilometri a piedi, cerco di non ingrassare perché li devo veder morire tutti. Lo dico con odio. Vuole i nomi?» dice al quotidiano milanese.

«Mi aspetto che la sentenza metta in risalto cosa ho fatto, sì di essere riabilitato, da chi mi ha attaccato non mi aspetto niente. È povera gente» aggiunge Mario Mori. E spiega lui stesso il termine "Trattativa": «Usai io quella parola, avrei potuto dire relazione ma quando parlai con Vito Ciancimino sapevamo entrambi che io chiedevo qualcosa a lui e lui voleva qualcosa in cambio: era una trattativa». E ancora: «Gli dissi: “Signor Ciancimino così è un muro contro muro” ma lo trattai da pari perché non potevamo permetterci di fare gli sbruffoni. A quel tempo avevano vinto loro: era morto Falcone, era morto Borsellino, erano morti i migliori di noi. Stavamo sotto ed eravamo in difficoltà, inutile negarlo e io che comandavo il reparto operativo più importante d'Italia non avevo avuto un'indicazione da nessuno dei miei superiori, dai ministri. Erano tutti terrorizzati, nascosti sotto le scrivanie aspettando che passasse la piena».

Mori infine ha scritto un libro in uscita: Mafia e appalti. «È la storia della mia vita professionale. Finché avrò un giorno di vita, lo presenterò in tutta Italia, mi toglierò tanti sassolini dalle scarpe e chiederò conto di tutti gli atti avvenuti tra la morte di Falcone e Borsellino. Sono agghiaccianti» conclude.