Mancato rispetto dei requisiti costituzionali di necessità e urgenza, norme troppo eterogenee, prive di unitarietà, misure penali sproporzionate e utilizzo dello strumento del decreto-legge in modo improprio, come scorciatoia politica. Si può riassumere così la relazione dell’Ufficio del Massimario della Cassazione, che ha analizzato, in 129 pagine, il decreto Sicurezza.

Un impianto normativo che privilegia l’anticipazione repressiva e la funzione simbolica del diritto penale, a discapito dei principi di legalità, proporzionalità e finalità rieducativa della pena. Col rischio di essere dichiarato totalmente, o in parte, incostituzionale. Il decreto «ripropone quasi integralmente» il disegno di legge 1660, già approvato in prima lettura dalla Camera il 18 settembre 2024 e in attesa dell’esame in Senato. Non vi è stata, secondo la dottrina, «nessuna nuova circostanza riconducibile ai “casi straordinari di necessità e urgenza”» di cui all’articolo 77, comma 2, della Costituzione. La motivazione addotta – «evitare ulteriori dilazioni in Senato ove il testo avrebbe potuto essere approvato con modifiche» – è stata definita da vari giuristi «insufficiente» e «apodittica».

Il testo, infatti, ricalca quasi alla lettera un disegno di legge già in discussione da mesi in Parlamento. E proprio qui sta il problema: «Sei lunghi mesi di esame del ddl sicurezza al Senato e sei alla Camera dimostrerebbero meglio di ogni altro argomento l’assenza dei presupposti costituzionali di necessità e urgenza», dice la Relazione citando studiosi e critici. Non è solo questione di tempi. Il governo ha motivato l’uso del decreto con l’intento di «evitare ulteriori dilazioni in Senato», ma la Corte costituzionale è stata chiara: «Il ricorso al decreto-legge non può fondarsi su una apodittica enunciazione dell’esistenza delle ragioni di necessità e di urgenza» ( sentenza n. 171/ 2007).

In più, le ragioni dell’urgenza non sono nemmeno state spiegate nella relazione al disegno di legge di conversione: vengono citate solo in un documento successivo, dove si parla genericamente di «una più incisiva risposta sanzionatoria e dissuasiva nei confronti di gravi fenomeni delinquenziali». Ma anche questa spiegazione, secondo gli studiosi, appare generica e tautologica.

C’è poi un altro nodo: la disomogeneità. Il decreto affronta temi molto diversi tra loro, un «florilegio di presupposti» – come lo definiscono vari giuristi – che rende il provvedimento «materialmente eterogeneo». Per la Corte costituzionale ( sentenza n. 146/ 2024), quando un decreto tocca troppe materie non unite da una finalità comune, questo è un sintomo della mancanza di urgenza vera. Il problema diventa ancora più serio sul piano penale. Il decreto ha introdotto numerose nuove norme incriminatrici e lo ha fatto con effetto immediato, cioè senza vacatio legis.

Questo, secondo l’Associazione italiana di professori di diritto penale, «viola il principio di colpevolezza» sancito dall’articolo 27 della Costituzione, perché «chi compie un atto deve poter sapere in anticipo se esso è punibile come reato» ( Corte cost. n. 54/ 2024). E non è tutto. Alcune aggravanti introdotte colpiscono il luogo e il contesto del reato: cioè prevedono pene più severe se il fatto avviene durante una manifestazione o in un corteo. Disposizioni, dunque, che vanno deliberatamente a colpire – a scopo evidentemente repressivo – l’area della manifestazione del dissenso, specie «dove più acutamente emergono disagio, diseguaglianza e povertà».

Sul piano dei principi costituzionali, i rilievi sono diversi. Si parla di violazione del principio di proporzionalità, della tassatività della norma penale, della personalizzazione della pena, del principio di offensività, secondo cui una condotta può essere punita solo se lede effettivamente un bene giuridico. La relazione cita ancora l’Aipdp e molti giuristi, secondo cui questo decreto è figlio di una visione del diritto penale che punta tutto sul carcere e sulla repressione: una sorta di “more of the same”, cioè la ripetizione sterile di politiche penali punitive, che finiscono solo per aumentare i procedimenti e allungare i processi.

Si parla di «ipertrofia penalistica», di «vocazione simbolica», e di un concetto di sicurezza «punitivo e repressivo, distante dal disegno costituzionale». Insomma, per molti questo decreto è un caso da manuale di forzatura dello strumento del decreto-legge per accelerare i tempi, piegando la Costituzione a esigenze di consenso.

Per quanto riguarda ad esempio le rivolte in carcere, secondo la relazione la norma eccede nei suoi effetti repressivi, perché attribuisce rilevanza penale a comportamenti che potrebbero rappresentare forme legittime di dissenso o tensione fisiologica in contesti carcerari già fortemente compressi. Inoltre, si evidenzia il rischio di configurare una responsabilità basata sullo status (di detenuto) più che su condotte realmente offensive, con un approccio che alimenta logiche di sospetto e profilazione soggettiva. Per quanto riguarda l’induzione all’accattonaggio, il testo farebbe confusione tra marginalità e criminalità, introducendo sanzioni severe per condotte di sopravvivenza.

L’introduzione di una specifica aggravante per le violenze o minacce ai danni di pubblici ufficiali appartenenti alle forze dell’ordine, inoltre, duplicherebbe senza vera necessità altre aggravanti già previste (come quella per pubblici ufficiali in genere), generando una differenziazione irragionevole tra pubblici ufficiali di serie A e B. Il rischio è quello di un diritto penale identitario, volto più alla riaffermazione simbolica dello Stato che alla tutela effettiva delle funzioni pubbliche.

Infine, per quanto riguarda la disciplina dell’esecuzione penale per le madri detenute, la relazione critica duramente la riforma, denunciando il rischio di lesione dei diritti del minore, violazione della Costituzione e delle convenzioni internazionali e discriminazione indiretta verso le donne più vulnerabili. Il rischio è quello di un ritorno a un modello punitivo che sacrifica la funzione rieducativa della pena e la tutela del legame madre-figlio in nome della sicurezza.