Definire «criteri certi e oggettivi» per valutare le comunicazioni tra i magistrati e Luca Palamara, e garantire dunque «uniformità di trattamento» da parte delle varie commissioni del Consiglio superiore della magistratura. Con questa finalità il laico di Iv Ernesto Carbone ha chiesto al Comitato di presidenza del Csm l'apertura di una pratica «finalizzata alla discussione e definizione di precisi criteri di valutazione delle comunicazioni, telefoniche o via chat, intercorse tra i singoli magistrati e Luca Palamara».

Si tratta di comunicazioni risalenti a 5 anni fa, ricorda Carbone e se «quelle rilevanti penalmente e/o disciplinarmente sono state acquisite rispettivamente dalla Procura o dalle sezioni prima e disciplinare» le altre «vengono a tutt'oggi utilizzate senza criteri di riferimento» tanto da «ridursi a strumenti di agevolazione o penalizzazione della carriera del magistrato oggetto di valutazione, in quest'ultimo caso potendosi tradurre in una vera e propria ostruzione del percorso professionale di un magistrato dalla condotta integra e ineccepibile, per il solo fatto di avere avuto contatti con Palamara».

Quindi «per esigenze di uniformità di trattamento e rispetto del principio di uguaglianza fra tutti i magistrati» è necessario che «il Csm intervenga con urgenza per fare chiarezza». Carbone sottolinea poi che "è doveroso considerare che Luca Palamara ha ricoperto il ruolo di presidente dell'Anm, circostanza naturalmente foriera di contatti con diversi magistrati per molteplici ragioni di natura certamente estranea a qualsivoglia ipotesi criminosa».

Per questo la proposta «vuole essere l'occasione per individuare in modo definitivo quale uso può essere fatto da parte di tutte le Commissioni del Csm» delle chat con Palamara «ed evitare utilizzi promiscui, arbitrari, soggettivi non rispettosi del principio di uguaglianza sì da preservare, di conseguenza, l'immagine e il decoro della magistratura evitando pure che vengano diffuse e divulgate notizie riguardanti condotte ormai non più perseguibili né in sede penale né in sede disciplinare».