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«Ci avevano sempre insegnato che i giudici parlano con le sentenze, ma evidentemente, adesso, i giudici parlano anche con la televisione». Aldo Grasso, il principale critico e studioso italiano della televisione, conclude in questo modo, tra l’amaro e il sarcastico, il video editoriale del Corriere della sera dedicato a Ignoto 1, Yara dna di una indagine.
E’ il documentario che sta andando in onda su Sky Atlantic e di cui, domenica sera, vedremo la terza delle quattro puntate. Il film, che è nato da una idea della Bbc ed è diretto Hugo Berkeley, ricostruisce con dovizia di particolari l’inchiesta sull’omicidio della piccola Yara Gambirasio, che ha portato a condannare in primo grado Massimo Giuseppe Bossetti.
CRONACA
Yara Gambirasio sparisce da Brembate di Sopra il 26 novembre del 2010. Va in palestra e non torna più a casa. Per tre mesi tutto il paese e tutta l’Italia sperano di ritrovarla viva. Ma le speranze finiscono tragicamente il 26 febbraio: il corpo privo di vita della ragazzina viene ritrovato in un campo abbandonato di Chignolo d’Isola, a circa 12 chilometri dal luogo dove era sparita. Le indagini diranno che la tredicenne è morta lo stesso giorno in cui si sono perse le sue tracce. La desolazione è forte. Non si deve più cercare Yara, si deve cercare l’assassino. Gli inquirenti si concentrano in particolare sul materiale biologico, ritrovato sugli slip di Yara, che non appartiene alla ragazza. Si isola un dna che viene chiamato Ignoto 1, da cui il titolo del documentario. Per tre anni si cerca a chi appartenga finché, attraverso una mappatura effittivamente eccezionale di tutta la zona, non si arriva a identificare chi sarebbe l’ormai famoso Ignoto 1.
CIRCO MEDIATICO
La sparizione di Yara diventa subito un caso mediatico. La cronaca, per quanto drammatica, ha alcuni elementi che suscitano un forte interesse per la tragica vicenda in cui ha perso la vita una tredicenne e ha travolto la serenità della famiglia Gambirasio. Più che cronaca, sem- bra un romanzo su cui puntare l’attenzione voyeuristica degli italiani. Dopo tre anni viene individuato l’Ignoto 1, sarebbe Massimo Giuseppe Bossetti. Sarebbe lui l’assassino. Ma per lui il condizionale non è ammesso. Da subito, nei suoi confronti più che i dubbi valgono le certezze: la sentenza è già stata emessa, la condanna è certa. Bossetti è il colpevole. Lo ha stabilito non il tribunale, ma un processo mediatico diffuso, generalizzato, spietato.
PRIMO GRADO
Il 1 luglio del 2016 Massimo Giuseppe Bossetti, muratore di Mapello, sposato con figli, viene condannato all’ergastolo per aver ucciso Yara Gambirasio. Contro di lui più che prove, una macchina mediatica che difficilmente una singola persona, peraltro non facoltosa, può vincere da solo. La cosiddetta prova regina è quella del dna, ma molti sono i dubbi a partire dal fatto che, pur avendo la difesa chiesto più volte di ripetere l’esame, questa verifica non è mai stata accolta. Bossetti continua a dichiararsi innocente, ma all’Appello che si terrà probabilmente questa primavera, ci arriva con le armi ancora una volta spuntate. Contro di lui non solo la procura, le televisioni, il giudizio popolare. Ora c’è anche un documentario che sposa completamente il punto di vista della procura che ha indagato.
STILE EPICO
Le prime due puntate di Ignoto1 sono centrate sul ruolo degli investigatori. Letizia Ruggeri, la pm titolare del caso, che si vanta di aver parlato poco con i giornalisti, nel documentario è invece il filo conduttore che ricostruisce l’intera vicenda. La difesa non è entrata in scena e ancora non sappiamo se accadrà nei prossimi episodi. Solo chi indaga è protagonista. Ruggeri è filmata anche nei suoi momenti di vita personale, descritta non come un pubblico ufficiale ma come una eroina che si batte per la Verità. Il comandante dei Ris, Giampietro Lago, viene fotografato in posa, anche lui eroe in un mondo dove è netta la separazione tra buoni e cattivi. Aldo Grasso, tra le altre critiche, si chiede che senso abbia fare un documentario sul caso forse più raccontato da giornali e tv. La domanda è condivisibile, soprattutto se il documentario in questione non crea scarto rispetto al processo mediatico ma semmai ne accentua i difetti, rendendo la difesa di Bossetti sempre più difficile. Quasi impossibile.
UNA DOMANDA
Ormai diversi studiosi sottolineano come il processo mediatico rischi di condizionare fortemente il processo vero e proprio. E se questo vale per la televisione, vale anche per un film compiuto come Ignoto 1: il racconto avvincente, l’utilizzo di una colonna sonora che emoziona, il montaggio come se fosse una fiction, sono elementi che influenzano fortemente lo spettatore. A tal punto che ci si chiede se sia lecito, mentre è in corso ancora il processo, mandare in onda un documentario così fortemente schierato con la tesi dell’accusa. Non si tratta di limitare la libertà di espressione, ma di interrogarsi sui limiti, ormai degenerati, del processo mediatico. E’ una domanda legittima per chi ha a cuore lo Stato di diritto. Ma anche per chi ha a cuore la memoria di Yara Gambirasio, che da tutta questa speculazione rischia di essere travolta o usata per fini che di nobile hanno poco. Forse è il caso di fermarsi, prima che sia troppo tardi.