A prima vista aveva tutta l’aria di una bomba, politica ovviamente. Basta con l’Anm ridotta, per colpa delle correnti “di sinistra”, a «soggetto politico di opposizione», a «strumento di contrapposizione al governo», perché così si è persa «l’occasione per un confronto reale» e per «incidere concretamente» nel percorso della riforma, sulla separazione delle carriere. Sono le parole con cui Claudio Galoppi, segretario di Magistratura indipendente, aveva silurato martedì scorso i gruppi progressisti in un’intervista al Giornale.

Galoppi, per chi non lo avesse ben chiaro, è il capo della corrente, Mi appunto, da cui proviene l’attuale presidente Anm Cesare Parodi, il quale però si regge su una sorta di unità nazionale delle toghe, che coinvolge appunto anche le correnti di sinistra, cioè Area e Md. È come se il segretario della Cdu tedesca avesse attaccato a testa bassa la Spd poco dopo l’elezione di Merz a cancelliere. Un deliberato suicidio politico. Che invece non si è consumato.

Motivo semplice: nessuno ha replicato a Galoppi. Nessuno. Zero dichiarazioni, zero commenti, da Area come da Md. In silenzio persino Rocco Maruotti, il segretario dell’Anm, espresso da Area, al quale Galoppi aveva dedicato un cameo al curaro: «Farebbe bene a specificare se parla a titolo personale o dell’Anm», a proposito delle frequenti dichiarazioni antigovernative del collega “rosso”.

Distrazione? Effetto dell’ipnosi mediatica prodotta dal Conclave? Pare di no. Fonti diverse confermano che si è trattato di calcolo, di una scelta ben precisa. “Sulle prime Maruotti aveva avvertito gli altri dirigenti di Area che di lì a poco avrebbe fatto fuoco e fiamme contro Galoppi. Gli si è fatto notare che avrebbe fatto il gioco del segretario di Mi. Il quale vuole provocare. Gioca a rompere. Ma lo fa perché si sente franare il terreno sotto i piedi e non sa più come riconquistare l’egemonia politica che, dopo il voto per il comitato direttivo centrale (il “parlamentino” Anm eletto a fine gennaio, ndr), sembrava inattaccabile”.

Ed è qui la vera sorpresa, nello stranissimo quadro “politico” interno alla magistratura, impegnata a scaldare i motori per il rush finale contro la separazione delle carriere, cioè per la campagna referendaria in cui i magistrati dovranno impegnarsi fra qualche mese per provare a fermare la riforma. In pratica, i piani di Galoppi, secondo un’altra fonte che, come le altre, esige riserbo, erano assai belligeranti: “Ha sì indicato lui Parodi come presidente, e ne aveva il diritto in quanto leader della corrente più votata. Ma Galoppi – spiega l’altra voce di dentro – sapeva bene che la sua personale prospettiva, rispetto alla riforma, era molto lontana da quella di Area e di Md, oltre che da Unicost, correnti con le quali doveva comunque accordarsi per formare l’esecutivo dell’Anm, la giunta di cui Parodi è diventato il vertice.

Mentre i due gruppi di sinistra avrebbero continuato a utilizzare la polemica sulle carriere separate per fare un’opposizione anche ideologico- culturale nei confronti del governo Meloni, Galoppi non aveva assolutamente quest’intenzione. È un moderato, è stato consigliere giuridico, a Palazzo Madama, della propria ex collega laica al Csm Maria Elisabetta Alberti Casellati, non ha sentimenti ostili all’attuale maggioranza e davvero non sopporta che le toghe cosiddette progressiste utilizzino invece l’Anm per sfogare quel tipo di sentimenti”.

E infatti, insiste la fonte di estrazione moderata, Galoppi aveva messo in preventivo addirittura una caduta della giunta Parodi. Lo aveva indicato consapevole che presto, forse, la nuova presidenza Anm si sarebbe bruscamente interrotta. Ne era convinto in vista dello sciopero anti- Nordio del 27 febbraio, al quale diversi magistrati di Mi non avrebbero aderito (basti pensare al procuratore di Milano Marcello Viola, che ha platealmente rivendicato la propria presenza in ufficio nel giorno dell’astensione).

Lo sciopero doveva andare male proprio in virtù di un presunto boicottaggio di Magistratura indipendente, silenzioso ma inesorabile, che in realtà, per varie ragioni, non c’è stato. La giunta Parodi non è caduta più, e il piano, o almeno le previsioni, di Galoppi sono andate in frantumi. E qui si viene a un nocciolo ancora più “nascosto” della questione: il grosso delle toghe iscritte a Magistratura indipendente, a dispetto delle idee di Galoppi, ha un’avversione radicale per il guardasigilli Carlo Nordio e per la sua riforma.

E il motivo è, anche qui, chiarissimo, a quanto riferiscono le voci interne. Di quella rivoluzione sulle carriere, giudici e pm di Mi non temono tanto la duplicazione dei Csm, che anzi, alle Procure potrebbe fare persino comodo. Temono piuttosto il sorteggio, che eliminerà qualsiasi controllo delle correnti, di tutte le correnti, su promozioni, nomine e carriere dei magistrati, e ancor di più l’Alta corte disciplinare. Galoppi, per carità, nell’intervista al Giornale ha fatto pure lui fioco e fiamme, contro la riforma del guardasigilli.

Ma i suoi, le toghe che votano per Mi e magari presidiano le giunte territoriali dell’Anm, sono preoccupatissime per il trasferimento dei procedimenti disciplinari dall’attuale “sezione interna” del Csm, assai poco temuta, a una futura Alta corte in cui gli equilibri cambieranno completamente. I componenti saranno in maggioranza magistrati ma – e questo lo ricordano in pochi, quando si ragiona sulla riforma – saranno sorteggiati esattamente come i togati dei due Csm. Significa che finire sotto “processo” disciplinare diventerà, per giudici e pm, un terno al lotto: saranno valutati da colleghi non esattamente arruolati nelle correnti, e che anzi provengono, sempre secondo quanto previsto nel ddl costituzionale, dalla Cassazione, o che vantano comunque un trascorso nella Suprema corte. Si tratta di figure che, nella magistratura, tradizionalmente vivono l’appartenenza e la solidarietà corporativa in modo assai più sfumato degli altri. Saranno giudici imprevedibili, poco disposti a lasciarsi commuovere dalle sventure professionali dei colleghi.

Le toghe di Mi lo sanno bene, lo sa pure Galoppi, certo, ma insomma, il quadro è tale da aver compattato il corpaccione della magistratura contro la riforma, e da ridurre così le intemerate bellicose del leader moderato a un diversivo che interessa a pochi se non quasi a nessuno.