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Hajar Budraa è la prima magistrata ad entrare in Aula indossando il velo. Lo fa ogni mercoledì, alle udienze davanti al giudice di pace, spiegando che «da sempre soggetta a pregiudizi», ha sviluppato «un’attitudine a non giudica prima di avere a disposizione tutti gli elementi».
Boudraa ha trent’anni, è nata in Marocco e in Italia vive da quando ne aveva cinque. Si è laureata in Giurisprudenza a Trento e ora sogna una carriera in magistratura, mentre oggi veste la toga come viceprocuratrice onoraria a Verona.
In un’intervista al Corriere dice che «vestirsi e professarsi come si crede sono diritti sanciti dalla Costituzione» e che «il bravo giudice è colui che fa bene il suo lavoro e consce altrettanto bene il diritto». Per poi chiedersi se i magistrati sono valutati per le loro competenze o per il loro aspetto», sottolineando che «la toga è l’unica cosa che conta e te le devi meritare» e che «il resto è solo contorno».
Boudra racconta poi di essersi data da fare negli studi e che non è stato facile mantenersi, facendo parte di una famiglia di otto persone in cui solo il padre lavorava, operaio in un’azienda agricola. E così ha lavorato prima come mediatrice in un tribunale per minorenni, per pagarsi gli studi e aiutare la famiglia, fino a diventare cittadina italiana nel 2020, dopo un iter lungo sette anni.
Ci che fa discutere in queste ore è l’opportunità di entrare in Aula con il velo, anche se c’è chi ricorda la storia del magistrato che entrava in Aula con un crocifisso di grandi dimensioni. Ma lei è tranquilla, spiega che «non è certo un simbolo dell’oppressione di noi donne musulmane», perché «non siamo noi ad avere un limite, ma la parte di società che ci vede così» e si schiera dalla parte di chi protesta in Iran contro il regime.
«Io sostengo tutte le donne e tutti i movimenti che lottano per la loro libertà - ha detto a La Stampa - E quello che sta accadendo in Iran è la ribellione a un obbligo imposto dall’alto: da un livello politico e religioso». Quella, argomenta, «è compromissione dell’essenza della donna, che non può decidere di sé stessa, ma anche in Italia, se dobbiamo lottare per poter indossare quello che vogliamo, abbiamo dei problemi con la libertà».