È molto difficile, anche se si hanno gli strumenti per farlo, far valere le proprie ragioni quando la tua controparte, oltre a trovarsi a circa diecimila chilometri di distanza e a dodici ore di volo, è refrattaria a tutte le regole processuali della Repubblica italiana.

La riforma Cartabia in tema di processo penale, con l'articolo 64 ter, introdotto a seguito di un emendamento presentato da Enrico Costa (Azione), ha esplicitamente riconosciuto il “diritto all'oblio”, in particolare nella più recente declinazione della deindicizzazione, a chi sia stato indagato o imputato e abbia visto la propria posizione definita con un provvedimento favorevole (archiviazione, non luogo a procedere, proscioglimento).

Il professore Francesco Fimmanò, ordinario di Diritto commerciale e direttore scientifico dell’Università Mercatorum, era stato coinvolto nel 2020 in una inchiesta della Procura di Bari dove si contestavano le modalità con cui l'Agenzia pugliese per il diritto allo studio gli aveva affidato un incarico legale.

Al termine dell'indagine era stata la stessa Procura a chiederne l'archiviazione, accolta dal gip, in quanto tutto si era svolto con la massima trasparenza.

Nel decreto di archiviazione dello scorso ottobre il gip aveva apposto in calce l'annotazione ai sensi del predetto articolo, specificando che lo stesso «costituisce titolo per ottenere ai sensi dell’articolo 17 del Regolamento europeo 679 del 2016 un provvedimento di sottrazione dell’indicizzazione da parte dei motori di ricerca».

Forte di ciò, Fimmanò ha iniziato un braccio di ferro con il colosso di Mountain View in California per chiedere che fosse preclusa l’indicizzazione o che venisse disposta la deindicizzazione sulla rete internet dei dati personali riportati nel provvedimento. Non avendo avuto riscontro, nonostante una diffida, Fimmanò si è quindi rivolto al Garante per la protezione dei dati personali.

Sul punto va ricordato che una ordinanza della Corte di Cassazione dello scorso novembre aveva affermato un importante principio di extraterritorialità della protezione dei dati personali, stabilendo che l’ordine impartito da un’autorità garante italiana di “eliminare” dai motori di ricerca una notizia non più attuale, deve valere per tutte le versioni web sparse nel mondo e non solo più per quelle dell’Unione europea.

Passa qualche settimana e Google invia una comunicazione a Fimmanò rappresentando di aver rimosso alcuni dei link indicati dal professore «a titolo di cortesia e spirito di collaborazione», ma di averne lasciati altri in quanto davano conto dell’avvenuta archiviazione e fornivano un quadro aggiornato della vicenda penale.

Per Google sarebbe l’interesse «generale» ad avere comunque informazioni nei confronti dei soggetti che esercitano un ruolo pubblico, come politici, alti funzionari pubblici, uomini d’affari e professionisti iscritti agli albi. In altre parole, secondo Google, per un’ampia fetta della popolazione il diritto all’oblio non si applicherebbe.

Fimmanò, comunque, non si è perso d'animo ed ha nuovamente scritto questo mese al Garante per la protezione dei dati personali depositando una memoria integrativa.

«Non voglio alcuna cortesia da Google, voglio solo che sia applicata la legge», dichiara il professore napoletano, evidenziando l'estrema difficoltà di interloquire con il motore di ricerca americano. «Google non conosce l'uso della Pec e le comunicazioni che invia non sono firmate da un legale rappresentante ma da un generico “Team”, non previsto dall'ordinamento giuridico», sottolinea Fimmanò, fiducioso però di spuntarla.