ARCHIVIATO IL SINDACO LEOLUCA ORLANDO

Gli indagati hanno agito per questioni di tenuta sociale. Si può riassumere così la vicenda Gesip, Gestione servizi impianti pubblici Palermo SpA, ndr, tenuta in vita più del dovuto per evitare una rivolta da parte dei lavoratori, sul piede di guerra per i tagli paventati dagli amministratori. Caso Gesip, ritardare il fallimento non fu reato: in gioco c’era l’ordine sociale

La partecipata del Comune di Palermo era decotta, ma per i magistrati era necessario evitare «tensioni »

Gli indagati hanno agito per questioni di tenuta sociale. Si può riassumere così la vicenda Gesip, Gestione servizi impianti pubblici Palermo SpA, ndr, tenuta in vita più del dovuto per evitare una rivolta da parte dei lavoratori, sul piede di guerra per i tagli paventati dagli amministratori. Un fallimento dichiarato con ritardo, ma per colpa scusabile, come evidenziato dal pm Eugenio Faletra, con il quale il gip di Palermo Cristina Lo Bue si è trovata d’accordo, firmando così l’archiviazione per le 19 persone indagate per la bancarotta della società, tra le quali l’attuale sindaco di Palermo Leoluca Orlando e l’ex primo cittadino Diego Cammarata. Archiviazione che ha, dunque, una motivazione “sociale”, ravvisabile nel rischio che la città finisse sotto l’assedio dei dipendenti, pronti a tutto pur di non perdere il lavoro. Le cronache di quei periodi parlano chiaro: circa 1800 persone, preoccupate per il rischio di ritrovarsi per strada, si sono riunite più volte per “occupare” la città chiedendo certezze per il futuro, con blocchi, tafferugli e conseguenti cariche della polizia. Una situazione andata avanti fino al 2015, anno del definitivo fallimento. Da lì l’indagine, conclusa nel 2020: l’accusa era che gli amministratori avessero contribuito ad aggravare il dissesto della società in house del Comune di Palermo, nata nel 2001 con l’obiettivo di stabilizzare i lavoratori socialmente utili e quindi far fronte ai livelli occupazionali dell’Ente, lavoratori impiegati in diversi servizi di pulizia della città. Un macchina cresciuta di anno in anno, fino ad arrivare a contare 2mila dipendenti, fallita dopo 14 anni di sprechi e malagestione. Dalle carte dell’indagine emergeva un dissesto pari a 29 milioni di euro, accumulati nel giro di quattro anni, tra il 2008 e il 2012. Tutta colpa, secondo le ipotesi iniziali della procura, di liquidatori, amministratori e sindaci, che si sarebbero intestarditi a tenere in piedi la società nonostante l’indebitamento da capogiro, mentre la colpa dei componenti dei collegi sindacali sarebbe stata quella di aver omesso di vigilare in maniera adeguata sulla gestione della Gesip, «astenendosi da richiedere la dichiarazione di fallimento». Ma a distanza di due anni la situazione si è capovolta. E così mantenere quel carrozzone si è rivelata una scelta quasi obbligata, per evitare che la situazione sociale potesse diventare ingestibile. Nella richiesta di archiviazione si legge infatti come «in occasione di proteste e disordini dei lavoratori Gesip, impauriti di perdere il posto di lavoro, le paventate iniziative degli amministratori della Gesip di ridimensionare i costi sostenuti, procedendo tra le altre cose, ad un drastico taglio di personale, venivano puntualmente “bloccate” dal Comune e dalla prefettura, che per evidenti ragioni di ordine e sicurezza pubblica, individuavano come priorità il mantenimento dei livelli occupazionali». Ed essendo questo il contesto, si legge ancora, «se ne può agevolmente arguire una situazione di continuo e costante condizionamento nelle azioni degli organi amministrativi e di controllo della Gesip, certamente influenzabili sotto spinte di carattere politico- sociali e sprovviste di una completa libertà di autodeterminazione secondo canoni puri di sana e corretta gestione aziendale». Insomma, pur essendo una società ormai decotta e piena di debiti, la Gesip venne tenuta in vita per garantire i posti di lavoro in un momento di emergenza sociale. Emergenza che sarebbe potuta sfociare in una vera e propria rivolta da parte dei lavoratori, qualora la strada da seguire ovvero quella del fallimento fosse stata imboccata quando andava fatto. Ma fino alla fine del 2015, secondo il gip, «non era per nulla chiaro se potesse o meno fallire», dal momento che mancava una disciplina ad hoc.

«Ciò avrebbe indotto in errore scusabile gli indagati», non potendo gli stessi prevedere, al momento dei fatti, «che la Gesip sarebbe potuta fallire». Secondo la procura, dunque, non ci fu reato, perché gli amministratori erano sottoposti ad una enorme pressione, per evitare «l’acuirsi di tensioni sociali acuite dal rischio di licenziamenti del personale in esubero», circostanza, questa, che avrebbe inciso «sulla libertà di autodeterminazione nelle scelte gestionali da parte degli amministratori». C’erano, infatti, «proteste e sommosse all’ordine del giorno finalizzate a scongiurare i paventati licenziamenti». Inoltre, il pm sottolinea «l’ulteriore finalità di dare lavoro e occupazione alle categorie più svantaggiate in una logica quindi socio- assistenziale di cui finiva in qualche modo per rimanere vittima». In ciò si inserisce anche un provvedimento normativo del governo, «che imponeva la prosecuzione dell’attività della Gesip per la copertura dei servizi pubblici essenziali stanziando un contributo di diversi milioni». Da qui la situazione «di continuo e costante condizionamento nelle azioni degli organi amministrativi e di controllo della Gesip, certamente influenzate sotto spinte di carattere politico- sociale e sprovviste di una completa libertà di autodeterminazione secondo canoni di pura, sana e corretta gestione aziendale».