Il processo civile può durare a lungo per molteplici ragioni: litigiosità, insufficiente dotazione di risorse e personale negli uffici giudiziari, difficoltà organizzative, complessità dei processi e delle loro diverse fasi, possibile procrastinazione strategica messa in atto dai legali rappresentanti le parti. Quanto detto giustifica il fatto che solo il 28% degli intervistati dichiara che la controversia si è conclusa nello stesso anno dell'avvio. È quanto emerge dal report dell'Istat su “Cittadini e giustizia civile” relativo al 2023. Il 49,7% delle cause - rileva l'indagine - si è concluso entro due anni; il 33,4% tra i due e i cinque anni successivi all’anno di inizio e il 16,9% delle cause per concludersi ha avuto bisogno di un periodo superiore a cinque anni.

Queste proporzioni sono diverse confrontando le ripartizioni territoriali: il Nord-ovest ha la quota più elevata di cause concluse entro due anni (56,2%) rispetto al Sud o alle Isole per le quali tale proporzione è minore: (rispettivamente 44,4% e 46,3%; media italiana 49,7%). Le cause che si concludono più frequentemente entro due anni dall’avvio sono quelle relative a interdizioni/inabilitazioni (68,8% di tali cause), separazioni e divorzi (52,8%), incidenti stradali/contravvenzioni al Codice della strada (48,0%) e rilascio di un immobile e fermo amministrativo di bene mobile (47,3%).

Le cause che invece sono risultate durare più a lungo sono quelle relative a eredità e successioni (il 30,5% dura più di sei anni), diritti della persona (18,2%) proprietà su beni mobili e immobili (25,5%). Risultano essere in corso, in misura maggiore, cause relative a rapporti con la Pubblica Amministrazione (39,0%), tributi/cartelle esattoriali (34,6%), previdenza e assistenza (33,5%), tutti procedimenti che sono stati influenzati nel loro iter dalla pandemia Covid.