IL COMMENTO

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Tutto quello che è accaduto a Palazzo Chigi in questi due anni e mezzo di legislatura, che andreottianamente ha un po’ tirato a campare per non tirare le cuoia, era stato previsto con largo anticipo. Non già da maghi dotati di sfera di cristallo o intenti a rovistare nei fondi del caffè. E neppure da politologi, che Iddio ce ne scampi e liberi, vittime di una battuta micidiale di quella malalingua di Winston Churchill. Secondo la quale sarebbe bene non azzardare previsioni, dal momento che per questo ci sono gli esperti, o presunti tali, che non ne azzeccano una. No, è stato previsto da uno scrittore americano particolarmente prolifico del tempo che fu.

Nel 1893 Mark Twain pubblica un racconto breve che avrà un grande successo. Non a caso seguiranno una commedia e diverse pellicole cinematografiche. La più nota delle quali ha per titolo “Il forestiero”, del 1954, protagonista Gregory Peck: una chicca imperdibile che può essere vista su Youtube. Si tratta della celeberrima Banconota da un milione di sterline. La trama è presto detta. Ai tempi della regina Vittoria, a Londra, due fratelli eccentrici e straricchi si fanno stampare dalla Banca d’Inghilterra una banconota da un milione di sterline e fanno una scommessa. Consegneranno la banconota al primo che passa per la strada, e vediamo un po’ come se la caverà. Il passante, un marinaio americano appena a terra che non sapeva come sbarcare il lunario, se la cava a meraviglia. Grazie al possesso della banconota, consuma i pasti nei migliori ristoranti, è calzato e vestito dai migliori negozi di abbigliamento, alloggia in una confortevole suite di un albergo di lusso. E tutto questo ben di Dio gratis et amore dei. Evidentemente nato con la camicia, trova anche una dolce metà. Che cosa si vuole di più dalla vita? Ecco, la cosa stupefacente è che questo rinomato romanziere statunitense ha descritto come meglio non si potrebbe l’attuale inquilino di Palazzo Chigi. I due ricconi in questo caso, ricconi di voti beninteso, sono Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Si affacciano al balcone, vedono passare per strada un distinto professore universitario di diritto civile come Giuseppe Conte, e gli consegnano le chiavi di Palazzo Chigi. Ma per finta, eh, per vedere come se la caverà. E lui se la caverà, eccome se se la caverà. Nemo propheta in patria, schiacciato dai suoi carcerieri, si fa un nome fuori dai confini nazionali. Novello Conte di Montecristo, si vendica del Capitano della Lega che lo voleva disarcionare. Forma un nuovo governo con fuori la Lega e dentro il Pd, con una operazione di Palazzo che ha pochi precedenti nella storia dell’Italia repubblicana. E sale sale sempre più su. Fino ai giorni nostri. Pende come la torre di Pisa è vero, ma non viene mai giù. Almeno per il momento. Come è stato detto, ogni azione politica che non sia riducibile in termini di diritto costituzionale è pura volgarità. E allora inforchiamo le lenti del giurista. Due distinti costituzionalisti, Vincenzo Lippolis e Giulio M. Salerno, hanno dedicato un bel libro al settennato di Giorgio Napolitano: La Repubblica del Presidente.

Re Giorgio al Quirinale ha fatto il bello e il cattivo tempo. E pertanto i sullodati studiosi hanno osservato non senza ragione che la nostra è diventata una forma di governo parlamentare a correttivo presidenziale.

La stessa definizione rilanciata adesso da un altro costituzionalista di valore come il capogruppo del Pd alla commissione Affari costituzionale di Montecitorio, Stefano Ceccanti. Ha ragione, intendiamoci. Anche se Sergio Mattarella si sta rivelando un presidente interventista, sì, ma suo malgrado. Quasi chiedendo venia. Perché con quellì là che si azzuffano nella palude sottostante non c’è mai da stare tranquilli. Il bello è che la forma di governo parlamentare con torsione presidenziale riguarda non solo il Quirinale ma anche Palazzo Chigi. Sono lontani i tempi in cui Giovanni Spadolini denunciava il fatto che la presidenza del Consiglio del Belpaese dal punto di vista istituzionale era la cenerentola d’Europa. La verità è che con l’andare del tempo Palazzo Chigi si è rimpannucciato ben bene. Dapprima grazie al bipolarismo determinato dalle leggi maggioritarie, a cominciare dal sartoriano Mattarellum, che ha prodotto un presidente del Consiglio designato direttamente dal popolo. E adesso grazie al Coronaviurus, la nostra disgrazia e l’involontaria fortuna di Conte, un uomo decisamente fortunato. Tiene in ostaggio la maggioranza perché l’alternativa sono le elezioni. E assomiglia con un po’ di fantasia al premier britannico, che a onor del vero non gode di buona salute, e alla cancelliera tedesca.

Non più un primus inter pares rispetto ai suoi ministri, ma una spanna al di sopra di questi ultimi. E dello stesso Parlamento. Come in tempo di guerra, si legifera a colpi di decreti legge. A questi si sono aggiunti i chiacchierati Dpcm, vale a dire i decreti del presidente del Consiglio. E, come le ciliegie, di continuo per la nostra disperazione l’uno tira l’altro. Mentre le Camere perdono sempre più colpi. Per di più, il bicameralismo è degenerato in monocameralismo alternato. Infatti la Camera che esamina in seconda battuta i provvedimenti legislativi del governo, per la loro ampiezza e la ristrettezza dei tempi, non fa che confermare al buio le deliberazioni della Camera che si è pronunciata per prima. Se le istituzioni ci appaiono malmesse, i partiti sono ormai popolati da un pugno d’uomini indecisi a tutto. Ci salverà, more solito, lo stellone della Repubblica? Vallo a sapere. O, come si dice a Firenze, indovinala grillo.