Terzietà: è un mantra. È la stella polare che guida governo e maggioranza di centrodestra verso la separazione della carriere. Se il principio è valido per la giustizia penale, perché mai non dovrebbe tradursi in leggi dello Stato anche nel processo tributario? Eppure, nel disegno sulle liti fiscali introdotto dal governo Draghi in extremis, quando la scorsa legislatura boccheggiava in attesa di nuove elezioni, la terzietà tende a dissolversi.

A sovrintendere su carriere e ogni genere di trattamento relativi ai magistrati tributari è infatti il ministero dell’Economia. Vale a dire la stessa amministrazione dello Stato che, attraverso l’Agenzia delle Entrate, è controparte dei cittadini nei ricorsi su tasse e tributi. Un paradosso intollerabile. A tenere il banco del contenzioso tributario, e a controllare i giudici, è lo stesso soggetto pubblico che poi compare nei processi. Se non fosse una distorsione tipica dell’intreccio fra funzioni giurisdizionali e amministrative – l’intreccio che nei suoi risvolti più sfrontati dà luogo anche alla giostra dei magistrati fuori ruolo – parleremmo di deriva sudamericana. Ma non è il caso. Direbbe Flaiano che la faccenda è grave ma non è seria. O forse no, forse dietro c’è qualcosa di serissimo. Contro cui l’avvocatura, e il Cnf innanzitutto, si battono da anni: il pregiudizio nei confronti del cittadino. Che è implicitamente considerato, nell’assetto ordinamentale e normativo, come una controparte pericolosa, pronta a barare.

È il virus della diffidenza. Che inquina a ben vedere anche molti dei meccanismi tuttora in vigore nella giustizia penale. Nel caso delle liti tributarie, il sottile non detto dell’astuzia e dell’improntitudine del suddito da tenere a bada ad ogni costo si esaspera. E da qui discende il paradosso per cui un esecutivo d’ispirazione teoricamente liberale qual era quello di Draghi non si è neppure lasciato sfiorare dal dubbio che tenere i giudici fiscali “sotto” il Mef fosse un’assurdità.

Vediamo, ora che siamo alla stretta finale per i decreti attuativi della legge delega approvata l’anno scorso, se il dibattito su questo aspetto del processo tributario può riaprirsi. Partiti come Forza Italia, che fanno della riforma del fisco la loro bandiera da decenni, dovrebbero svegliarsi. Essere conseguenziali. Sarebbe opportuno. Sarebbe il caso che l’Esecutivo pronto, col taglio del cuneo fiscale, ad alleviare la pressione sui lavoratori dipendenti trovasse un po’ d’empatia anche nei confronti degli autonomi. E la smettesse di giocare la partita del contenzioso tributario con la pretesa di avere un arbitro che indossa la stessa maglia di una delle due squadre.