Doveva essere una semplice archiviazione. Ma l’affaire Roberto Spanò - il giudice di Brescia passato al civile per evitare l’incompatibilità con la moglie pm dopo 17 anni di convivenza -, in discussione ieri al plenum, è diventato qualcosa di più.

La pratica - approvata, alla fine, all’unanimità - ha rappresentato un unicuum nella storia del consiglio. Anche perché preceduta da un ampio dibattito sulle sorti del processo sulla strage di Brescia, presieduto proprio da Spanò. La pratica, ha esordito il relatore Marco Bisogni, «non c’entra nulla con i processi penali in corso». Ma c’è un altro elemento di discussione: una nota, inserita nella proposta, che getta ombre sul comportamento di Spanò. Il riferimento è a un presunto intervento di Spanò per modificare un’aggravante in un processo per mafia. Ma l’audizione avrebbe fatto emergere una ricostruzione diversa: quell’aggravante era già caduta nel troncone principale e la stessa procura la riteneva ormai non perseguibile, come riferito dal procuratore a Spanò in un colloquio informale al bar.

Una stranezza, secondo alcuni consiglieri, dal momento che le pratiche di archiviazione sono, normalmente, tutte molto stringate e prive di riferimenti al merito della vicenda. Da qui la proposta di un emendamento per la soppressione della nota, che non terrebbe conto dell’istruttoria successivamente svolta. «La rimozione della nota, a mio avviso, restituisce alla delibera una corretta impostazione - ha evidenziato Bisogni -, evitando che essa veicoli giudizi non più attuali o fondati. Il passaggio del dottor Spanò alla sezione civile ha di fatto “tagliato la testa al toro”. La Commissione non ha neppure avuto occasione di discutere concretamente l’incompatibilità nel caso in cui fosse rimasto al penale».

Un altro emendamento - poi votato all’unanimità - mirava a rispondere ai dubbi sulla possibilità di continuare a seguire il processo sulla strage e che precisa che non c’è nessuna limitazione all’applicazione. È stato, però, l’intervento del laico Felice Giuffrè a spostare la questione da un piano amministrativo a un piano politico: «Da domenica sera siamo stati tempestati da articoli di stampa, agenzie, commenti - ha sottolineato -. La pratica ha assunto un rilievo che va ben oltre la questione ambientale. Questa vicenda è sintomatica di un rapporto non fisiologico – non voglio dire patologico – tra il sistema e taluni organi di stampa. Il tenore delle notizie, i tempi e la lettura degli atti suggeriscono un “suggeritore” direttamente interessato».

Il riferimento è alle molte notizie pubblicate sulla vicenda - la proposta di delibera era pubblica e scaricabile dal sito del Csm - e anche al Dubbio, reo di aver evidenziato l’estraneità di Spanò alle correnti e, dunque, di non avere “santi in paradiso”. «Ma aggiungo io: forse ne ha qualcuno nel Consiglio», ha affermato Giuffrè. “Colpa” di Spanò la sua reazione, che «non sembra improntata a quell’equilibrio necessario per esercitare serenamente le funzioni giurisdizionali». Ma la considerazione principale, per Giuffrè, riguarda la separazione delle carriere. Il riferimento è sempre all’interlocuzione tra Spanò e il procuratore, «esempio concreto di quella “comune cultura della giurisdizione” che viene spesso evocata per contrastare il disegno di legge di riforma. Ma ciò che va sottolineato – dopo la lettura degli atti e della stampa – è che il quadro complessivo non ispira fiducia».

A criticare la delibera l’indipendente Andrea Mirenda. «Qual è la storia di questa pratica? Due Consigli giudiziari si sono espressi all’unanimità escludendo l’incompatibilità. La Prima commissione, inizialmente, ha proposto anch’essa all’unanimità l’archiviazione. Poi c’è stato un ritorno in Commissione, a maggioranza, con una nuova istruttoria. Ma ho la sensazione che alcuni consiglieri non abbiano davvero guardato cosa è emerso in quella fase», ha sottolineato. I magistrati bresciani auditi, infatti, hanno parlato di un clima sereno e di nessun contrasto.

Cosa che, nella pratica, non emerge. «Un’archiviazione formulata in questi termini – così sbilanciata e carica di giudizi indiretti – di fatto impedisce un confronto vero nel plenum sul merito. Si chiude la vicenda con un’archiviazione, ma restano appese delle valutazioni pesanti, che non trovano riscontro nell’istruttoria. È una delibera che rappresenta un unicum: l’archiviazione prolissa ed esorbitante, dove - con anomala meticolosità - si dà conto delle sole criticità contestate e nulla si dice delle risultanze istruttorie di segno assai diverso - ha concluso Mirenda -. Evidente è poi l’assoluta torsione logica della delibera adottata: si gettano ombre pesantissime sulla compatibilità ambientale di un magistrato specchiato e, all’un tempo, gli si dice che deve proseguire a trattare in quella stessa sede uno dei processi più delicati della storia repubblicana».

L’altro indipendente, Roberto Fontana, si è detto favorevole ai due emendamenti. Il primo, pur non essendo formalmente necessario, per chiarire che la prosecuzione dei processi da parte di Spanò seguirà i criteri stabiliti dalla circolare. Il secondo in quanto essenziale per rasserenare il clima nel Tribunale, evitando una ricostruzione parziale e unilaterale della vicenda, dal momento che «nelle delibere analoghe si segue normalmente una linea di estrema sinteticità e mantenere la nota rischia di creare un precedente distorto».

Del tutto diverso, però, il parere del vicepresidente Fabio Pinelli. «Questa vicenda rappresenta un esempio emblematico di una criticità seria: quella dell’incompatibilità funzionale - ha sottolineato -. È inaccettabile che un giudice penale e un pubblico ministero coniugi lavorino nello stesso ufficio giudiziario. Eppure questo è accaduto per ben 17 anni. In un assetto ideale, queste situazioni dovrebbero essere risolte spontaneamente, senza attendere l’intervento del Csm. Dovrebbe essere il senso di responsabilità del singolo magistrato a suggerire un cambiamento di sede, anche solo spostandosi di pochi chilometri, per tutelare la credibilità del sistema. Come Consiglio, dobbiamo cogliere l’occasione per lanciare un messaggio chiaro a tutta la magistratura: evitare situazioni che, anche solo nella percezione pubblica, possano mettere in dubbio l’autonomia, l’indipendenza e l’imparzialità della funzione giudiziaria».

 La delibera è poi passata all’unanimità, con la bocciatura dell’emendamento che cancellava la nota “stonata” (votato però dal procuratore generale Pietro Gaeta) e l’approvazione della precisazione sui processi. Ma il dibattito, con tutta probabilità, è destinato a proseguire.