«Ho tante cose in testa ma voglio aspettare di ritrovare un po’ di serenità, ancora non me la sento di dire quello che provo». A meno di 24 ore dalla sentenza del maxi processo Rinascita Scott che lo ha visto assolto dai reati di concorso esterno in associazione mafiosa e abuso d’ufficio aggravato dalle modalità mafiose, l’ex sindaco di Pizzo Calabro, Gianluca Callipo, preferisce tenere per sé le considerazioni sul suo calvario giudiziario durato quattro anni. Rischiava una pena di 18 anni di reclusione, tanti quanti ne aveva chiesti l’accusa in sede di requisitoria.

Sindaco di una delle perle del turismo calabrese, giovanissimo presidente dell’Anci regionale, considerato astro nascente del nuovo centro sinistra locale, Gianluca Callipo viene arrestato, da incensurato, il 19 dicembre del 2019. All’alba, gli uomini dell’ex procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, fanno irruzione nella sua abitazione per notificargli l’ordinanza di custodia cautelare in carcere: Callipo è uno dei 334 arrestati di quella che, mentre le operazioni di polizia sono ancora in corso, viene definita la più importante indagine anti ‘ndrangheta della storia. Le ipotesi di accusa formulate dalla distrettuale antimafia di Catanzaro lo bollano come uno dei “colletti bianchi” a disposizione della criminalità organizzata vibonese, tra le più feroci e pervasive organizzazioni criminali che operano in Italia. Più precisamente, si legge nelle oltre 12 mila pagine di ordinanza di custodia cautelare, Callipo viene accusato di essere l’interfaccia pulito delle ‘ndrine di Pizzo e di San Gregorio d’Ippona: uomo di fiducia di boss del calibro di Saverio Razionale (condannato lunedì in primo grado a trenta anni di reclusione nell’ambito dello stesso procedimento Rinascita come componente apicale della “provincia” vibonese) e della “famiglia” Mazzotta, con cui avrebbe tessuto accordi, in cambio di favori, per ottenere il sostegno elettorale necessario a vincere la competizione elettorale cittadina che lo aveva eletto sindaco di Pizzo nel 2017. Di più, Callipo viene anche accusato di abuso d’ufficio aggravato per una storia legata ad un’azienda di cui era stato socio in passato e per l’acquisto, nel settembre del 2017, in seguito ad un presunto accordo con Saverio Razionale e con Gregorio Gasparro, di una delle strutture turistico ricettive più prestigiose in città. Accuse pesantissime che portano, nel giro di una manciata di mesi, anche allo scioglimento del piccolo comune della costa degli dei.

Trasferito in carcere, Callipo non ha mai smesso di urlare la propria estraneità ai fatti che gli vengono contestati. Passeranno sette mesi prima che una sentenza della Corte di Cassazione lo riconsegni alla sua famiglia, smontando pezzo per pezzo le accuse che lo avevano dipinto come l’ennesimo politico al soldo del clan. «Risulta esclusa la gravità indiziaria – scrivevano i giudici di piazza Cavour nella sentenza che nel luglio del 2020 ha riconsegnato Callipo alla libertà – non solo riguardo ad ipotesi strumentali di abuso, ma anche con riferimento alla concreta ricostruzione di un’ipotesi di concorso esterno». Bacchettando il Gip che ne aveva disposto gli arresti poi, i supremi giudici avevano commentato come lo stesso Gip «non ha, se non apoditticamente, individuato gli effettivi contenuti del patto e soprattutto non ha indicato in che modo potessero risultare di per sé idonei alla conservazione e al rafforzamento del sodalizio». Una sentenza che appare definitiva rispetto alle pesantissime accuse che gli vengono mosse ma che non impedisce al giovane ex sindaco di finire ugualmente a processo, bollato come appartenente alla “zona grigia” agli ordini dei clan. Almeno fino a lunedì scorso, quando il Tribunale collegiale di Vibo, in primo grado, lo ha mandato assolto assieme al suo ex assessore in giunta Vincenzo De Filippis e all’ex consigliere comunale Alfredo Lo Bianco.

«In questi lunghissimi 7 mesi ho imparato tante cose – aveva scritto sui social l’ex primo cittadino di Pizzo all’indomani della sentenza di Cassazione che ne disponeva la scarcerazione - e ho rivisto radicalmente le mie priorità. Ho imparato che non basta essere onesti e rispettosi della legge per essere sempre considerati tali. Ho imparato che ogni azione, anche la più rigorosa e ligia al dovere, può essere travisata e diventare una “colpa” da dover spiegare. Ho imparato che c’è un’umanità struggente nei luoghi di sofferenza, e solidarietà, comprensione, professionalità. Ho imparato che la Giustizia è piena di contraddizioni sulle quali non ci fermiamo mai a riflettere, interessati più che altro ad esaltare ciò che coincide con le nostre convinzioni politiche e con i nostri pregiudizi».

Nel lungo sfogo affidato al web, Callipo aveva poi sottolineato l’affrettatissimo scioglimento del piccolo centro marinaro di cui era amministratore: scioglimento che ha portato la città ad essere governata da una terna di commissari inviati dalla Prefettura, fino alle elezioni dello scorso anno. «Nel frattempo, la mia amatissima città, Pizzo, ha dovuto subire l’onta di un sindaco in carcere e ha perso un’amministrazione democraticamente eletta in seguito al precipitoso commissariamento del Comune, senza che neppure fosse disposto un accesso agli atti. Anche questo è un vulnus insopportabile, forse anche più grave della mia vicenda personale, perché riguarda un’intera comunità».

Lunedì, la sentenza di assoluzione disposta dai giudici di Vibo, ha riscritto la storia giudiziaria dell’ennesimo amministratore calabrese finito nel tritacarne mediatico-giudiziario. Ci sono voluti quattro anni. Un’eternità.