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Elly Schlein ha sfoderato un profilo da partito di governo su una materia, il carcere, mai comoda da maneggiare. Intanto, nella lunga e bella giornata che il Nazareno ha dedicato giovedì alla “emergenza penitenziaria”, era inevitabile che venisse fuori, com’è successo, il peccato originale della riforma Orlando, prima messa sul tavolo e poi ritirata dai dem a inizio 2018. E poi, la segretaria del Pd sa che lanciare una grande iniziativa contro il sovraffollamento negli istituti di pena non è mai una calamita di voti.
Sta di fatto che la sua apertura è un segno destinato a restare. Costringe i 5 Stelle a uscire dall’ambiguità, ma soprattutto inchioda il governo. Ieri il Garante nazionale dei detenuti Maurizio D’Ettore, da poco nominato alla successione di Mauro Palma su indicazione di FdI, ha confermato che le presenze dietro le sbarre sono ormai stabilmente sopra la soglia fatidica delle 60mila. Dei suicidi si ha notizia con una continuità che di fatto è quotidiana. Cosa fa il governo, di fronte al disastro? Davvero il presidio della tragedia in corso nei penitenziari è destinato a fissarsi come un’esclusiva, o quasi, del Pd e del mondo radicale?
No, non è così. E i segnali cominciano ad arrivare. Da Carlo Nordio. E in generale dal ministero della Giustizia. Dove, aspetto non trascurabile, le deleghe sul carcere sono in gran parte attribuite a un sottosegretario della Lega, Andrea Ostellari, ma in modo da non privare lo stesso Andrea Delmastro, sergente meloniano di ferro, di alcune competenze. Proprio i due partiti più intransigenti sulla sicurezza sono anche in prima linea sul piano della responsabilità. In più c’è un guardasigilli che è pur sempre a via Arenula per volontà della premier. Proprio lui ieri a Padova, nell’inaugurare l’anno accademico, ha ribadito il segnale già lanciato dal capo del Dap Giovanni Russo mercoledì in audizione alla Camera: «Chi ha meno di due anni da scontare, o addirittura una pena residua inferiore ai 12 se non ai 6 mesi, non può stare in carcere». Non è solo un affermazione di principio: è il presupposto di un’iniziativa che il ministero della Giustizia ha iniziato a mettere in campo. Con Ostellari, in particolare, impegnato su un dossier delicatissimo ma promettente: una rete di accordi con alcune associazioni della galassia cattolica, disponibili a mettere a disposizione alloggi per quei reclusi che avrebbero diritto alla misura alternativa dei domiciliari, ma che semplicemente non dispongono di una casa, e non possono perciò essere scarcerati dai giudici di sorveglianza. Si tratta di numeri importanti. Qualcosa, come segnalato da Russo, bolle in pentola anche riguardo alle “comunità educative”, che però hanno disponibilità limitate.
È un primo step. Che ha potenzialità sottovalutate. All’incontro organizzato due giorni fa dalla responsabile Giustizia del Pd Debora Serracchiani, lo ha spiegato molto bene Paola Fuselli, coordinatrice della Cgil-Giustizia minorile e impegnata negli Uepe, gli uffici per l’esecuzione penale esterna: «Noi a volte non riusciamo a star dietro alle pratiche di quei detenuti che fanno istanza al Tribunale per ottenere i domiciliari, ma che non dispongono di un’abitazione. Dovremmo attestare al giudice la possibilità di assegnare un alloggio al recluso, ma le carenze d’organico impediscono, in certi casi, di arrivare in tempo per l’udienza, e alla fine il magistrato è costretto a respingere l’istanza». È una delle testimonianze che, nel ricco pomeriggio a via Sant’Andrea delle Fratte, più ha impressionato gli stessi dirigenti democrat.
E vale la pena di riferirsi a un altro relatore del convegno Pd, il dirigente di Antigone Alessio Scandurra, per mettere a fuoco l’altro intervento incredibilmente inattuato nonostante valga centinaia di presenze in meno nelle prigioni: la presa in carico, da parte del Servizi sanitari regionali, di chi è attualmente in cella ma soffre di problemi psichici. Scandurra è stato quasi spietato, certamente schietto nel ricordare ai vertici dem «la responsabilità di chi governa, come voi, tre gradi regioni, Emilia, Toscana e Puglia, e città sedi di carceri sovraffollate come Milano, Roma e Napoli: dipende anche dai vostri amministratori, se i detenuti non vengono riassorbiti dal sistema sanitario». Ma anche qui, via Arenula, e sempre Ostellari in primis, sono già in una fase avanzata del percorso: dovrebbe presto mettersi in moto, nelle Regioni in cui lo standard del servizio sanitario è più efficiente, quel trasferimento extramurario dei detenuti con disagio psichiatrico. Anche qui i numeri, messi tutti insieme, possono contribuire a un primo, importante decongestionamento del sistema penitenziario.
Verrebbe quasi da dire che l’iniziativa e quelle parole di Schlein, «occuparsi di carcere non porta voti, ma non m’interessa minimamente», hanno innescato un processo di emulazione. Ma non è così. Il lavoro del ministero della Giustizia, e dello stesso Dap, è in corso da tempo. Certo, nelle ultime settimane ha conosciuto un’accelerazione molto forte. Innanzitutto per l’impressionante impennata degli ingressi in carcere, che viaggiano ormai a un ritmo di oltre 500 al mese, secondo una fatale correlazione con i suicidi, prossimi alla terribile cadenza di uno ogni due giorni. Pesa anche il segnale che Sergio Mattarella ha voluto trasferire alla politica con la convocazione del capo del Dap al Quirinale. Ma non si può trascurare il complessivo rischio, in capo al centrodestra, di vedersi travolti dalla tragedia: è vero che, come ha candidamente ammesso Schlein, occuparsi di detenuti al limite i voti li fa perdere, ma è vero pure che i partiti di governo potrebbero pagare un prezzo non irrilevante, in termini di consenso, se si presentassero alle Europee di giugno con un carico di morte nelle prigioni vicino al centinaio. Peggio se, di fronte all’avanzare della carneficina, Mattarella emulasse Giorgio Napolitano e rivolgesse un messaggio alle Camere: di fronte agli alert che da mesi arrivano dal sistema carcerario, sarebbe difficile per l’Esecutivo dichiararsi incolpevole del disastro.
C’è un ultimo capitolo: l’iniziativa di Roberto Giachetti, deputato Italia Viva, per una legge che reintroduca la liberazione anticipata speciale. A sostenerla c’è tutta l’opposizione, Pd testa, ma anche un segmento della maggioranza, Forza Italia e Pietro Pittalis in particolare. C’è l’accordo con il presidente della commissione Giustizia Ciro Maschio, di FdI, per iniziare l’esame del provvedimento entro la fine di febbraio. Ottima cosa. Ma è un ddl: entrerebbe in vigore, se tutto va bene, a ridosso delle Europee. Quando sarebbe troppo tardi per spiegare agli elettori come sia stato possibile restare inerti di fronte a 15 suicidi al mese dietro le sbarre.