Ancora un paio di legislature fa, se un cronista si fosse trovato ad intervistare un parlamentare del partito erede del Movimento Sociale nelle sue varie declinazioni (An, la Destra, FdI), sarebbe potuto incappare in “scivolate” giustizialiste o apertamente manettare, come ad esempio una certa simpatia per il Codice Rocco (quello arci-inquisitorio di procedura penale voluto dal regime fascista), archiviato con colpevole ritardo dall'Italia repubblicana alla fine degli anni 80 e non ancora completato da una coerente riforma dell'ordinamento giudiziario.

Un'ambiguità, quella palesata dagli esponenti della destra italiana rispetto alla preferenza tra vecchio e nuovo sistema, che non è mai stata pienamente sciolta, nemmeno a valle della svolta di Fiuggi, imposta da Gianfranco Fini per entrare a far parte dei governi presieduti da Silvio Berlusconi, animati da una chiarissima spinta garantista. E' noto infatti che, ogni volta che il Cavaliere e i suoi Guardasigilli tentassero di andare a boccino sulle questioni più importanti, all'appello dei voti della maggioranza mancava sempre la pattuglia di via della Scrofa.

E' possibile che la scomparsa di Berlusconi abbia rimosso uno degli imbarazzi più ricorrenti negli alleati di Fi (quando era il partito di maggioranza relativa), e cioè la paura dello stigma dell'opinione pubblica, di essere tacciati di subalternità al leader del centrodestra e ai suoi interessi personali. In questo senso le cose sono decisamente cambiate, nel panorama politico, con Fi che ha elaborato il lutto della morte del suo inventore e gode di ottima saluta, e la destra post-missina che è diventata primo partito.

Ma proprio in virtù di quest'ultimo evento, le cose stanno cambiando soprattutto all'interno di FdI, che seppure con qualche incertezza e passo indietro (vedi quello che è successo a Strasburgo in occasione del voto per Ursula von der Leyen) sta assumendo su tutti le questioni più importanti una postura da grande partito conservatore europeo.

Sulla giustizia sta accadendo qualcosa di ancor più significativo, si diceva, perché la premier Giorgia Meloni e i suoi principali collaboratori, così attenti a non scoprirsi sul fianco destro per evitare di cedere consenso alla Lega di Matteo Salvini, hanno constatato che su questo fronte l'impostazione garantista non danneggia elettoralmente i partiti che se ne fanno portatori, perché la sensibilità dell'opinione pubblica è progredita di pari passo alla conoscenza.

Inoltre, come ha già fatto il ministro Nordio nella sua ultima intervista, alla Lega che oggi si sta ponendo – soprattutto sulla questione del sovraffollamento carcerario e sulla penalizzazione dei reati minori – come il partito giustizialista di maggioranza, è possibile ricordare le recenti prese di posizione, con tanto di raccolta di firme per i referendum, ad esempio sulla custodia cautelare. Altro elemento importante è che, dopo alcune incomprensioni (si parlò verso Natale scorso di una rimozione dopo le Europee), tra la presidente del Consiglio e il Guardasigilli il rapporto appare più solido e se all'inizio della legislatura la casella di via Arenula era stata il terreno dell'ultimo grande braccio di ferro tra la destra e Berlusconi, oggi la presenza di un non iscritto a Fi al ministero rappresenta verosimilmente un punto di forza per la realizzazione di riforme che vanno fatte nell'interesse di tutti.

E così, con un ministro non di parte, per Meloni forse è meno problematico lasciare la golden share della politica giudiziaria del governo di fatto in mano agli azzurri, perché è innegabile che in cima all'agenda, in questo momento, ci sono i punti fissati da Fi, così come è innegabile che dentro FdI, a parte qualche distinguo, si annuisce in maniera convinta. Della separazione delle carriere si è già detto a sufficienza, con la premier che si è esposta personalmente in più di un'occasione per difenderne la bontà, anche se il ddl dovrà affrontare una difficile navigazione nei fondali bassi e melmosi delle commissioni parlamentari.

Ma se si parla di custodia cautelare, per esempio, dal simpatizzare con Rocco ai principi espressi da Sergio Rastrelli, il passo è stato lungo. Intervistato dal nostro giornale, il senatore meloniano e membro della commissione giustizia non ha avuto problemi nel sottoscrivere la tesi secondo cui la carcerazione preventiva è stata usata dai Pm per costringere il governatore ligure Giovanni Toti a dimettersi, e ha ribadito la necessità, sottolineata da Nordio, di una riforma dell'utilizzo di questo istituto, che tiene in prigione attualmente il 25 % dei detenuti.

Ieri il sottosegretario alla Giustizia di FdI, Andrea Delmastro, gli ha fatto eco parlando di «uso smodato» della custodia cautelare. Non mancano differenze di vedute, come quelle sugli incensurati accusati di reati nella Pa, per i quali la destra è restia a concedere un privilegio rispetto agli accusati di altri reati, ma l'impressione è che si potrà arrivare a un compromesso tra i due principali partiti di maggioranza. Lo stesso vale per la legge Severino, che ancora prevede la sospensione dall'incarico per i sindaci condannati in primo grado e che Forza Italia ha detto a chiare lettere di voler modificare. Un passo che la stessa Costituzione e il principio di non colpevolezza suggeriscono, di fronte al quale i meloniani nicchiano, ma che un grande partito conservatore di una grande democrazia liberale non esiterebbe a compiere.