Trenta secondi alla Corte d’appello per chiudere il caso, tre anni di graticola per Attilio Fontana. Il Presidente della Regione Lombardia è stato prosciolto in via definitiva dallo ”scandalo camici”, la vicenda scoppiata tre anni fa nel pieno dell’epidemia da covid. E a quanto pare l’unico vero scandalo è stata la gogna politica e mediatica, prima ancora che giudiziaria, che ha travolto una persona per bene presentandolo come truffatore, evasore fiscale e imbroglione.

Insieme ad Attilio Fontana, prosciolti per non aver commesso il fatto gli altri quattro imputati, l’imprenditore Andrea Dini, Filippo Bongiovanni e Carmen Schweigl, ex dg e dirigente di Aria, la società acquisti della Regione e Pier Attilio Superti, direttore generale di Regione Lombardia.

Sembrano passati secoli, ma era solo tre anni fa. Ospedali e le stesse farmacie erano in affanno perché non si trovavano mascherine né gli altri presidi sanitari come i camici per medici e infermieri. Il secondo governo Conte non aveva affrontato l’emergenza come si fa in questi casi, autorizzando le Regioni a superare le gare d’appalto e a limitarsi per gli acquisti urgenti a trattativa privata. Lo “scandalo camici” nasce nella Lombardia già massacrata dall’epidemia da covid per due motivi. Il primo è che tra le aziende che si erano rese disponibili (molte avevano rapidamente riconvertito la produzione) a fornire camici c’era anche la Dama di Andrea Dini. La seconda è che la redazione di “Report”, avendo scoperto (non era notizia coperta da segreto di Stato, in realtà) che Dini era cognato del presidente Fontana, aveva iniziato a intervistare i citofoni, attività prediletta del giornalismo d’inchiesta.

Era opportuno che tra le altre anche l’azienda di un parente del residente della Regione avanzasse la propria offerta? Forse si o forse no. Ma d’altra parte i parenti degli uomini di governo devono essere votati alla disoccupazione? Fatto sta che il combinato disposto tra la notizia del legame familiare e le interviste ai citofoni (da tempo gli intervistatori sono stati querelati) ha creato lo “scandalo camici”, cui è seguito anche lo “scandalo Svizzera”, con uno scatenamento di vignettisti che neanche i tempi d’oro di Silvio Berlusconi avevano visto fare tanta fortuna. Il momento era molto difficile, anche se oggi tendiamo un po’ tutti a rimuoverlo. E uno scandalo politico-mediatico piombato in mezzo ai gravissimi problemi sanitari era impensabile. Così l’imprenditore Andrea Dini non solo ritirò l’offerta di 75.000 camici per 513.000 euro, ma decise anche di donarne 50.000 ai cittadini lombardi. Una boccata d’ossigeno, ma anche un regalo molto sospetto, evidentemente, per la magistratura. Anche perché quel galantuomo di Fontana pensò bene di “risarcire” il cognato con 250.000 euro. Di tasca propria. Ma prelevati - ahi ahi - da un conto svizzero con fondi “scudati” ed ereditati dalla madre. Ma la cifra insospettisce e fa scattare le norme antiriciclaggio, così nasce una seconda inchiesta alla Procura di Milano. Così il Movimento cinque stelle prepara la mozione di sfiducia, cui si accoda lesto lesto il Pd, nonostante non ci fosse ancora la segreteria di Elly Schlein. Ma fioccano le richieste di dimissioni.

Il reato apparente di cui è stato imputato Attilio Fontana è quello previsto dall’articolo 356 del codice penale, “frode in pubbliche forniture”, quello reale potrebbe chiamarsi “frode in donazione”, come disse l’avvocato Jacopo Pensa, legale del Presidente. Perché il codice non parla di regali, ma di contratti pubblici violati da una parte, per esempio quando si consegni una merce diversa da quella pattuita. Ma se vogliamo completare il pacchetto giudiziario nei confronti di Attilio Fontana, possiamo ricordare anche di quando fu svegliato alle sette del mattino dai finanzieri che gli entrarono quasi in camera da letto per sequestrargli un telefonino.

Il fatto riguardava una vicenda dell’ospedale San Matteo di Pavia, poi finita in nulla, in cui lui non era neppure indagato. Inutile ricordare che ogni inchiesta giudiziaria che ha riguardato Attilio Fontana è evaporatoacome la neve in agosto: i camici, la Svizzera e anche il telefonino. Proscioglimento del gup, rituale ricorso in appello della procura ormai più perdente d’Italia, conferma dell’assoluzione in appello e strada chiusa per la cassazione. E poi Fontana rieletto cinque mesi fa con il 54,4% e riportato in trionfo al vertice della Regione. Restano le ferite, però. Quelle di una famiglia (e tutte le altre) che ha sofferto molto soprattutto l’assalto mediatico.

Basterebbe sfogliare le prime pagine di tutti i quotidiani del 28 luglio 2020. La faccia dell’avvocato di Varese sofferente mentre viene processato in Cosiglio regionale dalla mozione di sfiducia del Movimento cinque stelle e da un Pd sempre più subalterno. Ma sette applausi a scena aperta, quel giorno. E oggi? Si, certo, felice. E soddisfatto l’avvocato Pensa. Ma questa storia non avrebbe mai dovuto aver inizio. Passiamo al prossimo citofono, va. Tanto la Procura è sempre pronta.