IL DOPOGUERRA

La storia insegna sempre qualcosa.

I numerosi cambiamenti che stanno interessando l’avvocatura inducono a fare un tuffo nel passato per vedere come è cambiata in questi anni la professione. Firenze 1947, così l’avvocatura si fece carico della ricostruzione di un Paese in macerie

Il congresso a guida Calamandrei fu uno spartiacque per la professione

La storia insegna sempre qualcosa. I numerosi cambiamenti che stanno interessando l’avvocatura inducono a fare un tuffo nel passato per vedere come è cambiata la professione. Oggi la pandemia, la crisi economica e una guerra nel cuore dell’Europa dagli esiti imprevedibili stanno creando ansie e preoccupazioni anche tra gli avvocati, da sempre tra la gente e per le gente. Fatte le dovute differenze, il trentacinquesimo congresso forense sembra essere collocato in un momento storico delicato come quello celebrato nel 1947, il primo dell’avvocatura istituzionale.

«Un congresso vivo in cui sia possibile e realizzabile l’ascolto con l’aggiunta della capacità di fare sintesi, smarrita negli ultimi anni». Con queste parole la presidente del Consiglio nazionale forense, Maria Masi, ha presentato, pochi giorni fa, il congresso nazionale forense di Lecce. Sergio Paparo, coordinatore dell’Ocf, dal canto suo ha sottolineato la portata storica della tre giorni in programma nel capoluogo salentino. «Il congresso forense – ha detto Paparo - è previsto per legge. Il legislatore ha riconosciuto la validità e l’importanza di un’esperienza storica. Il congresso forense manifesta la legittima pretesa dell’avvocatura nel cercare di ricostruire la società e l’ordinamento giuridico con protagonisti proprio gli avvocati».

Settantacinque anni fa, l’Italia iniziava a rialzarsi dopo essere stata messa in ginocchio dalla Seconda guerra mondiale; cercava di ricucire le divisioni tra gli italiani. Il primo congresso forense, svoltosi a Firenze, riunì gli avvocati che, solo qualche anno prima, si erano combattuti su tutti i fronti. La sede non venne scelta a caso. Nel capoluogo toscano risiedeva il presidente del Cnf dell’epoca, Piero Calamandrei. Inoltre, Firenze aveva un valore simbolico dato che fu pesantemente colpita durante la guerra, reagì coraggiosamente alla occupazione nazista e venne insignita della medaglia d’oro. Insomma, in terra toscana vi erano tutti gli elementi per guardare alla ricostruzione dell’Italia e guardare al futuro con ottimismo.

L’assise fiorentina, come scrive Guido Alpa nell’introduzione agli “Atti del primo congresso nazionale giuridico forense del secondo dopoguerra”, venne celebrata «nell’Italia risorta dalle macerie, oramai repubblicana e in procinto di ricevere la nuova Costituzione». Il congresso forense del 1947, entrato nella storia dell’avvocatura e del nostro paese, ebbe un carattere unitario, che, senza dimenticare il passato, volgeva speranzoso lo sguardo al futuro, per un’Italia diversa, desiderosa di riacquisire la normalità «della vita civile, politica e professionale».

Nell’aprire i lavori congressuali Calamandrei esaltò, dopo le restrizioni provocate dalla dittatura fascista e dalla guerra, la nuova occasione di confronto tra gli avvocati, «come uomini liberi convenuti a discutere senza servilismo e senza consegne caporalesche, i problemi della nostra libera professione».

Nel 1947 l’avvocatura pose al centro del dibattito alcuni temi di vitale importanza. Tra questi la riforma della legge professionale, la riforma dei Codici di procedura civile e di procedura penale, la riforma della previdenza e assistenza forensi, il processo e la professione nei rapporti fiscali. La discussione che si aprì a Firenze diede vita ad una confortante stagione di riforme dal 1950 in poi.

Il primo congresso forense proiettò raggi di luce. Non poteva essere diversamente per una categoria professionale che voleva riprendere a vivere e a lavorare. Quale il punto di riferimento? Il diritto, che, commenta Alpa, «non muore anche nei tempi più bui». «Ma la legalità non è tutto – aggiunge -, perché sono piuttosto le leggi eterne, le leggi dello spirito che cementano il sentimento di fratellanza e di solidarietà tra i custodi e gli interpreti del diritto».

Nel suo intervento, davanti ai colleghi giunti a Firenze da tutta Italia, Piero Calamandrei volle ricordare anche chi con il proprio sacrificio, negli anni bui della dittatura, si sacrificò per la libertà, consentendo pure a tanti ricercati politici ed ebreùi di lasciare l’Italia. Il riferimento ad Enrico Bocci commosse il pubblico. L’avvocato di origini marchigiane, ma fiorentino d’adozione, scomparve nel nulla nel 1944. Di lui si persero le tracce, dopo essere stato catturato dai nazisti. Le ultime parole del discorso di Calamandrei vennero dedicate proprio all’avvocato Bocci: «Con questa ostinata tranquillità, con questa fede testarda nella giustizia, il congresso degli avvocati si rimette oggi al lavoro». Parole che sono pietre miliari nel ventunesimo secolo, in apertura del trentacinquesimo congresso forense. Un appuntamento storico per l’avvocatura e per l’Italia.