Sono «palesemente non casuali le telefonate successive alle prime due, che sono avvenute nello stesso giorno, perché da queste ultime, era chiaro che c’era una frequenza nelle conversazioni tra l'avvocato Arata (colui le cui apparecchiature telefoniche erano sottoposte a intercettazione) e il senatore Siri. Era chiaro pertanto che, continuando a intercettare il telefono dell’avvocato Arata, si sarebbero intercettate anche le conversazioni del senatore Siri. Pertanto la Giunta le ha ritenute non casuali e, di conseguenza, ha classificato queste conversazioni come un’intercettazione indiretta, ma nella consapevolezza che si trattava di intercettare le telefonate di un senatore, cosa che ovviamente è contraria all’articolo 68 della Costituzione». Così si esprimeva, il 9 marzo 2022, il senatore Lucio Malan, relatore della relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, che aveva negato con il suo voto l’autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni dell’allora sottosegretario del governo Conte 1. Una relazione poi approvata dal Senato, che dunque aveva opposto il suo niet alla richiesta di utilizzazione delle intercettazioni, nell’ambito di un’inchiesta della procura di Palermo.

L’accusa a Siri, stando alle carte, è quella di aver asservito la propria funzione pubblica «ad interessi privati», proponendo e concordando con organi apicali dei ministeri coinvolti «l’inserimento in provvedimenti normativi di competenza governativa di rango regolamentare (decreto interministeriale in materia di incentivazione dell’energia elettrica da fonte rinnovabile) e di iniziativa governativa di rango legislativo ( cd mille proroghe, legge di stabilità, legge cd di semplificazione)» o proponendo emendamenti contenenti disposizioni in materia di incentivi per il cosiddetto “minieolico”, in cambio dei quali «riceveva indebitamente la promessa e/ o la dazione di euro 30.000 da parte di Paolo Franco Arata», imprenditore che, da tali, «provvedimenti avrebbe tratto benefici di carattere economico». Secondo il Senato, però, le intercettazioni, anche se occasionali sarebbero state non necessarie.

Non si tratta della prima volta che l’autorità giudiziaria si ritrova ad intercettare casualmente dei parlamentari. Il caso più eclatante è forse quello di Cosimo Maria Ferri, finito nel buco nero del trojan del caso Palamara. La Giunta per le autorizzazioni della Camera aveva negato al Csm l’utilizzo delle intercettazioni dell’Hotel Champagne essendo la richiesta di Palazzo Bachelet, secondo Montecitorio, priva di «necessità». Ma soprattutto, ben prima della riunione all’Hotel Champagne l’autorità giudiziaria era consapevole che il Cosimo con cui parlava al telefono Luca Palamara era proprio un parlamentare della Repubblica. La vicenda era finita anche al centro di un caso diplomatico: la Corte costituzionale, nella sua pronuncia, aveva parzialmente dato ragione al Csm, definendo quelle a carico di Ferri intercettazioni casuali e rispedendo gli atti alla Camera dopo il suo primo no. Ma quella sentenza si è tinta di giallo, dopo le parole pronunciate da uno dei giudici costituzionali di quella pronuncia, ovvero Nicolò Zanon.

Nel corso della presentazione del libro di Alessandro Barbano dal titolo “La gogna. Hotel Champagne la notte della giustizia italiana”, Zanon spiegò infatti che la sentenza della Consulta fu pronunciata «rovesciando» la Costituzione per evitare di sconfessare la Cassazione e la sezione disciplinare del Csm sulla famigerata notte dell’Hotel Champagne. Tanto che il relatore, Franco Modugno, si rifiutò di sovvertire i principi costituzionali e di scrivere una sentenza diametralmente opposta a quella redatta, poco prima, nel caso che riguardava Matteo Renzi.

Controverso anche il caso di Stefano Esposito, ex parlamentare dem finito nel mirino della procura di Torino. Intercettato ben 500 volte in tre anni, tra 2015 e 2018, il politico era stato perfino rinviato a giudizio, senza che il Parlamento autorizzasse l’utilizzo di quelle captazioni. E a cancellare tutto ci ha pensato la Consulta. «Non spettava alle autorità giudiziarie che hanno sottoposto ad indagine e, successivamente, rinviato a giudizio Stefano Esposito, disporre, effettuare e utilizzare intercettazioni rivolte nei confronti di un terzo imputato, ma in realtà univocamente preordinate ad accedere alla sfera di comunicazione del parlamentare, senza aver mai richiesto alcuna autorizzazione al Senato della Repubblica», afferma la sentenza 227 del 2023.