LA CORTE UE

Le navi che conducono attività di soccorso di persone in mare possono essere sottoposte a controlli da parte dello Stato di approdo, ma quest’ultimo può adottare provvedimenti di fermo solo in caso di evidente pericolo per la sicurezza, la salute o l’ambiente, circostanze che vanno provate. Ong, la Corte Ue contro i fermi arbitrari: «Salvare vite è un dovere»

La sentenza dopo il ricorso al Tar della Sea Watch contro l’Italia: «Una vittoria di tutti»

Ispezionare una ong è possibile, ma per adottare provvedimenti di fermo lo Stato d’approdo può procedere solo «in caso di evidente pericolo per la sicurezza, la salute o l’ambiente», cosa che va adeguatamente dimostrata. E il dovere di salvare vite umane, in ogni caso, viene al primo posto. A stabilirlo è la Corte di Giustizia Ue, nella sentenza relativa a due casi che riguardano la ong tedesca Sea Watch. Una decisione che arriva in un momento molto delicato per il dibattito sull’immigrazione, dato l’avvio scoppiettante della campagna elettorale dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, legata proprio alla gestione dei flussi migratori. I fatti oggetto della sentenza risalgono all’estate del 2020 - quindi in epoca post “salviniana” al Viminale -, quando la Sea Watch 3 e la Sea Watch 4, dopo aver soccorso centinaia di persone in pericolo nel Mediterraneo, si sono dirette rispettivamente a Palermo e Porto Empedocle, dove sono state autorizzate a far sbarcare i migranti. Ma al termine delle procedure di pulizia e disinfezione, le Capitanerie di porto delle due città hanno effettuato ispezioni a bordo, certificando «carenze tecniche e operative» tali da giustificare il fermo delle due navi. La Sea Watch ha dunque proposto due ricorsi davanti al Tar per la Sicilia, chiedendo l’annullamento dei provvedimenti di fermo, sostenendo che le Capitanerie avrebbero violato la direttiva Ue 2009/ 16, interpretata alla luce del diritto internazionale, superando i poteri che ha lo Stato di approdo. I giudici amministrativi hanno deciso di interrogare la Corte di Giustizia sull’interpretazione delle norme, anche considerando che sono due gli Stati coinvolti: quello di bandiera - in questo caso la Germania - e quello dove avviene lo sbarco. Secondo i giudici europei, riuniti in Grande Sezione, la direttiva deve essere interpretata tenendo conto delle norme del diritto internazionale che gli Stati sono tenuti a rispettare. In particolare due: la Convenzione sul diritto del mare, che sancisce l’obbligo di prestare soccorso alle persone in pericolo o in difficoltà in mare; e quella per la salvaguardia della vita umana in mare, secondo cui le persone che si trovano a bordo di una nave, comprese quella della Ong Sea Watch, non devono essere computate ai fini della verifica del rispetto delle norme di sicurezza. Il solo numero delle persone a bordo, anche se molto superiore a quello autorizzato, dunque, non può costituire una ragione che giustifichi un controllo. Controllo che lo Stato di approdo, una volta messe in sicurezza le persone portate in salvo, può effettuare, ma solo a patto che dimostri in modo «concreto e circostanziato» che esistono «indizi seri» di un pericolo. Sarà il giudice a verificare il rispetto delle prescrizioni e, in caso di carenze, lo Stato di approdo può adottare delle azioni, purché «necessarie, adeguate e proporzionate». Inoltre, la Corte sottolinea l’importanza del principio di leale cooperazione tra i due Paesi, quello di approdo e quello di bandiera, che devono cooperare e coordinarsi nell’esercizio dei rispettivi poteri. A commentare la sentenza è stata Anitta Hipper, portavoce della Commissione europea per gli Affari interni, la migrazione e la sicurezza interna, intervenuta durante una conferenza stampa a Bruxelles. «Assistere chi è in pericolo è un dovere morale e allo stesso tempo un obbligo giuridico. Questa è la posizione della Commissione Ue, in particolare in vista del fatto che le rotte del Mediterraneo continuano a essere fra le più trafficate in termini di migrazioni, dove vite innocenti sono costantemente in pericolo», ha dichiarato. «Abbiamo preso nota della sentenza della Corte di giustizia europea. Il procedimento dovrà ora proseguire alla Corte italiana, che aveva presentato una richiesta preliminare alla Corte Ue. Spetta a loro assicurare il rispetto della sentenza», ha aggiunto. Un concetto ribadito anche da Sea Watch, che ha lamentato le ragioni «assurde» dietro al blocco imposto alle navi: «Una certificazione che non esiste e troppe persone soccorse a bordo». La Corte di giustizia europea, fa sapere ora la ong, «ha stabilito che il salvataggio in mare è un dovere e che i controlli dello Stato di approdo non devono essere utilizzati arbitrariamente contro le ong in futuro per arrestare le navi e impedire loro di svolgere il proprio lavoro. Il verdetto di oggi è una vittoria non solo per noi, ma per tutte le navi civili di soccorso in mare che salvano persone dall'annegamento nel Mediterraneo centrale» .