A SFIDE PER IL FUTURO: DEPENALIZZARE E SEPARARE LE CARRIERE

PRESIDENTE DI “ITALIASTATODIDIRITTO”

La riforma della giustizia penale è quasi legge. È vero che l’approvazione definitiva del governo cadrà nella prossima legislatura, con le nuove Camere appena insediate ma l’esecutivo uscente ancora in carica, ma difficilmente ci saranno problemi; è troppo alto il rischio di perdere i fondi del Pnrr, soprattutto in considerazione dei rigidi meccanismi di condizionalità, anche temporali, che lo caratterizza. È perciò bene dare spazio all’interrogativo più importante: avremo una diminuzione delle garanzie? Le preoccupazioni devono essere inferiori ai motivi di soddisfazione.

Iniziamo dalla novità principale: il rinnovato ruolo della pena. Il sistema sanzionatorio non sarà più “carcerocentrico”; viene così fatta ammenda di anni di scelte demagogiche e nocive, denunciate a gran voce dall’avvocatura. La novella inserisce un catalogo progressivo di sanzioni alternative, adeguate alla gravità del fatto, che potranno essere irrogate dal giudice della cognizione secondo una procedura che garantirà adeguatamente il contraddittorio.

Acquisiscono notevole potenzialità le pene pecuniarie, che verranno calibrate in base alle condizioni economiche dell’interessato, in modo da assicurare il rispetto del principio di proporzionalità ed evitare rischi di inadempimento. Rivoluzionarie sono le disposizioni in materia di giustizia riparativa, che si propongono moderni obiettivi di composizione dei conflitti. Ciò non toglie che sia giusto porsi delle domande sulla conciliabilità delle norme che disciplineranno il nuovo istituto con la presunzione di innocenza: io non vedo pericoli, avuto riguardo alle regole, vecchie e nuove, sull’incompatibilità del giudice. La misura mi sembra destinata principalmente a operare nel rito monocratico - anche in considerazione dell’ampliamento delle sue competenze - ove l’invito alla giustizia riparativa precedente alla sentenza di condanna potrà in concreto essere rivolto solo dal giudice dell’udienza “filtro”, perché avrà accesso agli atti del Pm: giudice dell’udienza “filtro” che, in caso di opzione dell’imputato per il dibattimento, sarà espressamente incompatibile a celebrarlo. Il giudice del dibattimento, non conoscendo gli elementi su cui si fonda l’accusa, difficilmente potrà formulare l’invito alla giustizia riparativa senza incorrere in un’anticipazione di giudizio che lo esporrebbe a ricusazione, nel solco della giurisprudenza costituzionale. Il discorso vale a maggior ragione per il rito collegiale, dove si celebrano i processi per reati più gravi e di non semplice accertamento. Non vedo una diminuzione delle garanzie nei riti alternativi: anzi, leggo favorevolmente le novità del giudizio abbreviato, volte a incentivare le integrazioni probatorie difensive, in passato troppo spesso negate. Un’ulteriore ricaduta positiva sarà l’alleggerimento dei ruoli dei giudici dibattimentali, che potranno concentrare i loro sforzi su un minor numero di processi, come accade in tutti i sistemi accusatori “puri”.

Note critiche riguardano invece l’inammissibilità dell’appello per “aspecificità” dei motivi: misura che, unita all’introduzione del rito “cartolare”, dovrà tenere alta l’attenzione dell’avvocatura. Bisognerà monitorare i casi in cui verrà fatto ricorso a questa disposizione per arginarne abusi. Allo stesso tempo dovremo esigere dai giudici d’appello un maggiore sforzo di attenzione, che oggi è troppo spesso carente. Anche per questo motivo è essenziale il voto dell’avvocatura sui giudizi di professionalità dei magistrati espressi dai consigli giudiziari.

Rimangono irrisolti alcuni punti, a mio giudizio fondamentali, per migliorare il sistema penale.

Il primo riguarda l’appello del Pm; la sua eliminazione deve diventare realtà, come aveva consigliato alla ministra Cartabia la Commissione Lattanzi. Il secondo è che ci vuole una seria depenalizzazione: il numero enorme di notizie di reato che ogni anno intasano gli uffici giudiziari trova la sua origine nei troppi reati previsti dal Codice penale; bisogna sfoltire, abbandonando quel “panpenalismo” culturale che tanti effetti negativi ha prodotto. Ma il traguardo più ambizioso è la separazione costituzionale tra chi accusa e chi giudica; solo assegnando al giudice quella terzietà che è oggi impedita dall’unicità della carriera, si potrà compiutamente garantire il rispetto della presunzione di innocenza.

Sono i compiti per la prossima legislatura. L’avvocatura deve combattere perché vengano realizzati; partendo dalle tante buone misure contenute nella riforma Cartabia.