La regola è sempre una: sbatti il mostro in prima pagina, anche se il mostro non c’è. E quando puoi scegliere, scegli quello del partito avversario, per non sbagliare. L’ultima performance della stampa italiana prende spunto, tanto per cambiare, da un’inchiesta antimafia, condotta dalla procura distrettuale di Reggio Calabria.

La storia è più o meno la solita: un presunto voto di scambio per il quale sono indagati, tra gli altri, tre politici di peso, ovvero il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, il capogruppo di FdI in Regione, Giuseppe Neri, e il consigliere comunale della città dello Stretto Giuseppe Francesco Sera.

Tutto normale, questa volta, negli uffici giudiziari: gli inquirenti fanno delle ipotesi, capiscono che sul sindaco c’è poco materiale, nemmeno chiedono una misura. La propongono per gli altri due, ma il gip, diligentemente, evita il copia e incolla e respinge la richiesta, sottolineando che gli elementi sono pochi. Che le accuse non sono riscontrate, che il presunto regista del voto di scambio non sembra nemmeno far parte del clan - pur essendo legato sentimentalmente alla figlia del boss -, che non c’è una contropartita, un favore, un riscontro alle dichiarazioni del pentito, che pure pare confuso e non spiega bene (il che non vuol dire, chiarisce, che non sia credibile). L’indagine, chiaramente, è ancora aperta e dunque quei politici sono ancora indagati, anche come forma di garanzia nei loro confronti.

La notizia era semplicemente questa, diventando così, forse, troppo poco appetibile. E così ognuno se la racconta un po’ come vuole. Il Fatto quotidiano, ad esempio, pubblica in prima pagina quattro frame di un video: si vede Falcomatà, in bianco e nero, ad un incontro elettorale organizzato da Daniel Barillà, il presunto regista, che, scrive il gip, nemmeno si può definire un affiliato, prove alla mano.

«Difetta la prova», si legge nell’ordinanza arrivata prima alla stampa che agli avvocati, ed è del tutto assente «un quadro indiziario grave del contributo che il Barillà fornirebbe in concreto per la realizzazione degli scopi associativi». Ma non importa. E sul giornale di Marco Travaglio c’è almeno il merito di mettere destra e sinistra sullo stesso piano: «Voti mafiosi a FdI e Pd», si legge in apertura, con un catenaccio che certifica ciò che più sta a cuore al giornale simbolo del Movimento: «L’uomo dei clan: “Il M5S non ci ha chiesto niente”», per fortuna.

Giornale e La Verità ribaltano la questione, mettendo sulla graticola l’uomo di sinistra, Falcomatà. «Sindaco Pd nei guai: “Aiutò la ‘ndrangheta per vincere”», recita il giornale diretto da Alessandro Sallusti. Ma il vero capolavoro ce lo regala il quotidiano di Maurizio Belpietro: «‘Ndrangheta, indagato sindaco Pd di Reggio - Inchiesta in Calabria: coinvolti il primo cittadino Falcomatà e il capogruppo Fdi (ex della sinistra) in Regione». L’uomo di destra non va nemmeno nominato ed è meglio ricordare il suo passato scabroso, quella militanza nella sinistra che dev’essere peggio del voto di scambio ipotizzato e allo stato non dimostrato.

E poi giù articoli in cui a prevalere è la tesi dell’accusa, mentre il vaglio del gip passa in secondo piano. Per fortuna, l’autorità giudiziaria reggina ha scelto di far scattare il blitz subito dopo la chiusura delle urne, risparmiandosi la strumentalizzazione politica che ne sarebbe derivata. Ma tanta accortezza è servita a poco: nonostante i comunicati diffusi dal Ros per annunciare l’operazione, con tanto di chiarimenti sulle richieste formulate e respinte e su quelle che non si è ritenuto di formulare, le prime agenzie sulla notizia infilano anche Falcomatà tra le persone per le quali è stata richiesta la misura. Un errore marchiano, che ha reso necessario un nuovo comunicato della procura, «risultando il diffondersi di notizie non corrette». Insomma, un vero e proprio disastro. Tanto che viene voglia di citare Giorgio Gaber: «Compagni giornalisti avete troppa sete e non sapete approfittare delle libertà che avete».