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Una celebre frase retorica afferma che la giustizia fa sempre il suo corso. Lo si dice quando si presume che arrivare ad una sentenza sia un lavoro lungo o periglioso. Di fronte a una corte, in ogni parte del mondo, ci sono però le vittime e i carnefici, posizioni opposte in attesa che un giudice emani un verdetto. In India, nello stato dell'Uttar Pradesh, la giustizia ha compiuto ben 42 anni per condannare un uomo di 90 anni ritenuto il protagonista di una strage ( dieci morti) avvenuta nel villaggio di Sadhupur il 30 dicembre 1981. Un omicidio di massa riconducibile ad un conflitto di casta.
Le vittime erano Dalit ( gli ex intoccabili, il gradino piu basso), un gruppo di uomini entro nelle loro abitazioni, così dicono i pochi ancora in vita dopo tanto tempo, e cominciarono a sparare. Così mercoledì scorso, il giudice Harvir Singh del tribunale distrettuale della città di Firozabad, ha condannato all'ergastolo l'unico imputato sopravvissuto (gli altri 9 sono morti nel corso del processo), Ganga Dayal, membro della casta Yadav. L'avvocato Rajeev Upadhyay, che ha rappresentato il governo in tribunale, ha riconosciuto anche che molti dei testimoni dell'accusa e della difesa non potevano più dare la loro versione.
In tali condizioni i contorni del caso sono diventati piuttosto sfocati. Eppure il crimine all'epoca aveva provocato un grande clamore, gli abitanti del villaggio erano stati visitati dall'allora primo ministro Indira Gandhi che aveva promesso loro giustizia. Il leader del partito di opposizione Bharatiya Janata Party, Atal Bihari Vajpayee, in seguito primo ministro dell'India, aveva marciato verso il villaggio per protestare contro gli omicidi. Ma il verdetto è stato pronunciato solo dopo 4 decenni e si tratta a tutti gli effetti, non solo di una giustizia ritardata, ma di una giustizia negata. Le cronache dicono anche che le famiglie Dalit hanno appreso dell'ordine del tribunale solo dai giornalisti che li hanno cercati per sapere la loro reazione.
Il legale del governo, Upadhyay, ha cercato di spiegare i motivi di un ritardo così enorme. Secondo l'avvocato al momento degli omicidi il villaggio in cui è avvenuto il crimine faceva parte di un distretto chiamato Mainpuri. Ma nel 1989, divenne parte di Firozabad. Quindi i fascicoli del caso sono rimasti dimenticati fino al 2001, quando sono stati trasferiti al nuovo tribunale di Firozabad su ordine dell'alta corte dello stato. Le udienze sono iniziate solo nel 2021 come parte di una spinta del governo per concludere i vecchi casi su base urgente.
La realtà è però un'altra e molto più grave, a febbraio lo stesso governo ha informato il parlamento che c'erano quasi 50 milioni di casi pendenti nei tribunali indiani. L'esperto avvocato Akshat Bajpai, ha messo in evidenza il perché la giustizia indiana sia bloccata su una mole così grande di processi ancora mai celebrati. Innanzitutto esiste una questione sociale e cioé che persone come i Dalit, i più emarginati, non hanno la possibilita economica di ottenere giustizia tempestivamente. Il sito web Live Law, ritiene che la principale causa del ritardo è la mancanza di un numero adeguato di giudici. Sotto accusa ci sono anche procedure arcaiche che richiedono tempo e ritardano l'esame dei testimoni, per esempio il magistrato deve scrivere a mano le testimonianze nonostante i computer. Inoltre gli appelli, all'alta corte di solito richiedono da 5 a 10 anni per essere esaminati, cosa che si ripete esattamente presso la Corte Suprema.