“I giuristi di maggiore prestigio del Paese presentino domanda per il Consiglio superiore della magistratura”. A dirlo dalle colonne del Messaggero è Angelo Ciancarella, giornalista, ex portavoce dell'allora ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick.

Il rischio paventato da Ciancarella è che i partiti, anche questa volta, si accordino fra loro su chi mandare al Csm, di fatto “neutralizzando” quanto previsto dalla legge Cartabia circa le "procedure trasparenti di candidatura nel rispetto della parità di genere".

Al momento sono 130 le “autocandidature” pervenute alla Camera. Per la maggior parte si tratta di avvocati. Una ventina, invece, i professori. Per poter essere votati è sufficiente avere maturato 15 anni di iscrizione nell'albo o essere ordinari di materie giuridiche.

Fra i nomi, quelli di due ex parlamentari, Gaetano Pecorella (Fi) e Antonino Lo Presti (An), quello di Giuseppe Rossodivita, presidente della Commissione giustizia del Partito Radicale, quello di Ivano Iai, legale del cardinale Angelo Becciù e dell'ex procuratore generale di Catanzaro Otello Lupacchini, e quello di Lorenzo Borrè, divenuto famoso per i ricorsi contro la nomina di Giuseppe Conte a capo del M5s.

Le perplessità maggiori riguardano le “modalità” di scelta. Non essendo infatti previste audizioni per gli aspiranti ed essendo altamente improbabile che i parlamentari leggano questa marea di curriculum, saranno dunque i partiti a decidere, come si usa dire “nelle segrete stanze”, i nomi dei dieci laici che andranno a comporre il Plenum del Csm.

“Non succederà mai, ma se ad esempio Giuliano Amato, ex presidente della Corte Costituzionale, dovesse presentare la domanda sarebbe difficile per il Parlamento non votarlo: dieci, venti, trenta personalità di questo spessore renderebbero per i partiti difficile designare figure mediocri o sconosciute, oppure conosciute solo per essere state dei parlamentari”, prosegue Ciancarella.

“I partiti, in caso contrario, dovrebbero allora spiegare ai cittadini i motivi delle loro scelte, soprattutto quando millantano di aver chiuso le porte girevoli nei rapporti politica - magistratura”, conclude l'ex portavoce di Flick.

I rumors, da settimane ormai, danno sempre sette posti alla maggioranza e tre alle opposizioni. In particolare, tre a Fratelli d'Italia, due ciascuno a Lega e Forza Italia, uno a testa per Pd, Italia viva – Azione e M5s. La legge prevede che ogni eletto debba ricevere i tre quinti dei voti dell’intero Parlamento. Su 600 votanti, il quorum necessario sarà quindi di 360.

In pole, anche se non hanno presentato ancora la domanda, per Fratelli d’Italia ci sarebbe Giuseppe Valentino, per la Lega Francesco Urraro. In crescita le quotazioni dell'avvocato padovano Fabio Pinelli, difensore del deputato leghista Armando Siri e dell’ex capo della Bestia salviniana Luca Morisi. Nei suoi confronti ci sarebbe anche l'endorsement di Luciano Violante. Fra i possibili outsiders anche il professore romano di diritto comparato Pieremilio Sammarco.

Un accordo fra la maggioranza di centrodestra e Italia viva - Azione, però, potrebbe cambiare le carte in tavola, assegnando al Terzo polo i tre posti destinati alle opposizioni. La votazione per eleggere i dieci componenti laici del Csm era inizialmente prevista per lo scorso dicembre. Il dibattito sulla Legge di bilancio e, probabilmente, il mancato accordo fra i partiti di maggioranza sui nomi da votare hanno spinto i capigruppo a rinviare la votazione al prossimo 17 gennaio.

Una “prorogatio” che si trascina dallo scorso settembre, data in cui il Consiglio superiore della magistratura era arrivato a scadenza naturale, avendo maturato i quattro anni previsti dalla Costituzione. Una volta eletti i laici bisognerà trovare l'accordo sul nome del vicepresidente. Per eleggere quest'ultimo saranno indispensabili i voti dei togati, che sono esattamente il doppio dei laici, e dei due capi di Corte, il primo presidente ed il procuratore generale della Corte di Cassazione, in quanto membri di diritto.

Quello che accadde la volta scorsa è ormai storia nota, con Luca Palamara e Alessandro Sallusti che hanno raccontato nel libro "Il Sistema" gli accordi frenetici fra i gruppi della magistratura associata ed i responsabili dei partiti. Ci sarà un dèjà-vu?