La vicenda che vede la Corte Edu occuparsi del sistema di prevenzione italiano, nella controversia che contrappone lo Stato alla famiglia Cavallotti, è, dal punto di vista procedimentale, alle battute finali, con lo scambio di memorie di replica tra l’Avvocatura dello Stato e i difensori delle parti private.

Ci siamo già occupati, dalle pagine di questo giornale, della intrinseca contraddittorietà delle precedenti difese rassegnate dal governo su richiesta dei giudici di Strasburgo, specie con riguardo alle misure di prevenzione patrimoniali, alle quali – per la necessità di sfuggire alle conseguenze dell’una o dell’altra configurazione possibile – è stata riconosciuta, ad un tempo, natura di misura amministrativa ed effetti di misura di sicurezza, ma lasciando inevase sul terreno aporie argomentative e problematiche interpretative, che invece consentirebbero di ritenere la confisca di prevenzione una vera e propria sanzione di natura penale.

Simile conclusione scardinerebbe l’intera materia della prevenzione patrimoniale, perché consentirebbe di invocare i singoli istituti del diritto penale, ponendo così argini insormontabili all’esercizio di una azione che, invece, si presenta connotata da asistematicità tali da annichilire le più elementari garanzie difensive e da consentire, così, il recupero di una pretesa punitiva pubblica, anche se naufragata nella sede processuale ad essa propria.

Secondo la maggior parte degli studiosi, secondo alcune timide aperture della giurisprudenza e secondo, ci si augura, la Corte europea, la prevenzione è dunque punizione: una reazione ordinamentale a fatti avvenuti nel passato e non, come invece dovrebbe essere, una misura di controllo pro-futuro di individui socialmente pericolosi.

Ebbene: la funzione punitiva delle misure, da sempre negata dai sostenitori della prevenzione, pare trovare nuovi e inaspettati argomenti a sostegno proprio nell’ultima memoria dell’Avvocatura generale dello Stato. Un capitolo delle repliche depositate dal governo, dedicato a “Natura e finalità della confisca di prevenzione”, dal significativo titolo “Punire e prevenire”, vorrebbe, negli intenti della parte pubblica, tracciare un discrimine netto tra l’azione punitiva (esercitata dallo Stato mediante le pene) e quella preventiva, affidata invece a strumenti di natura amministrativa. Del resto, osserva l’Avvocatura generale, anche la pena assolve a una funzione preventiva, oltre che retributiva e, quindi, è accettabile che le misure di prevenzione abbiano anche effetti punitivi, pur mantenendo una natura non penale. Nel tentare di spiegare su quale piano – se non su quello della funzione – operi la distinzione tra prevenzione e pena, il governo finisce per valorizzare i il versante degli effetti e quello delle ragioni.

Per il primo aspetto, le misure praeter delictum “non richiedono la gravità e le sofferenze insite nelle sanzioni”. Esse, quindi, costituirebbero un minus nella reazione ordinamentale. L’affermazione sarebbe anche corretta se le misure di prevenzione avessero conservato il carattere della provvisorietà che le era proprio. Ma la confisca prevista dal codice antimafia è una ablazione definitiva del patrimonio, identica per effetti alle confische previste dal codice penale. Ablazione della quale è peraltro possibile l’applicazione disgiunta rispetto alle misure personali (cioè, anche in assenza dell’attuale pericolosità del proposto) e anche a quella per equivalente (cioè, su beni che non hanno alcuna relazione di derivazione con le pregresse manifestazioni delittuose). La confisca di prevenzione, in definitiva, non ha oggi alcuna necessaria funzione preventiva ( perché non richiede più la prognosi di pericolosità), né tale mutamento può essere giustificato con la teoria del “bene pericoloso” – reiterata dall’Avvocatura nel proprio scritto –, cioè della pericolosità che la cosa mutua dalla persona, in forza della sua origine illecita (perché la confisca per equivalente non cade su patrimoni di origine delittuosa). Non a caso, uno studioso attento come il professor Vincenzo Maiello ha da tempo definito la confisca per equivalente come il cavallo di Troia della prevenzione patrimoniale.

Per quanto riguarda le ragioni, il governo ricorre al solito refrain: la prevenzione serve a contrastare fenomeni di grave allarme sociale, come la mafia e il terrorismo. Come al solito, all’Europa non diciamo (chissà che non se ne accorgano…) che oggi la prevenzione in Italia è strumento di contrasto, oltre che dei reati contro l’ordine pubblico, dei reati contro il patrimonio, contro la persona, contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica, contro la morale. E la tecnica argomentativa di invocare sempre, a copertura di ogni stortura, l’intoccabilità di quel para- Stato che è l’antimafia, in nome della quale tutto è lecito, tutto è consentito inizia ad assumere i tratti grotteschi di un’eresia catara fuori tempo di un millennio buono. La verità è che forse, di fronte ai quesiti della Corte Edu, sarebbe stato meglio cambiare il titolo di quel capitolo: non “Punire e prevenire”, ma “Prevenire è punire”.