Chi dava per scontato un viaggio in discesa verso l’agognato Sì al referendum sulle carriere separate ora è servito. Chi pensava che la riforma Nordio, l’epocale divorzio fra giudici e pm con tanto di sorteggio ammazza-correnti, fosse una pura formalità, dovrà ricredersi. Anche se non serviva l’apertura dell’indagine su Giusi Bartolozzi, figura chiave del ministero da cui è nato il ddl costituzionale, per immaginarlo. Anzi: è notizia delle ore precedenti alla scoperta dell’iscrizione di Bartolozzi a registro degli indagati che, soprattutto dalle parti di Fratelli d’Italia, circolano sondaggi per nulla rassicuranti sul referendum “carriere separate”.

Non c’è l’ombra del cappotto fantasticato da molti nei mesi addietro, magistrati inclusi: il via libera degli elettori alla riforma Nordio e i No in cui spera l’Anm sono di fatto alla pari. Entrambi sul 50%, con il consueto margine di errore reclamato, come sempre in casi del genere, dagli istituti demoscopici. Certo, è un dato che va passato per una lunga serie di filtri. Ma è comunque indicativo, e si intreccia, inevitabilmente, con la notizia del giorno. Vale a dire, con il rischio che i “nemici” delle carriere separate possano impallinare, da qui alla consultazione confermativa, il guardasigilli autore della legge costituzionale in quanto gravato da una capo Gabinetto sotto accusa, se non già sotto processo.

Ma prima di tutto il dato demoscopico, che almeno cronologicamente precede l’informazione di garanzia destinata a Bartolozzi: una autorevole fonte parlamentare di Fratelli d’Italia, dotata di approfondita conoscenza del dossier carriere separate, ha rivelato al Dubbio che il partito della premier ha già da un po’ iniziato a commissionare sondaggi riservati sull’orientamento degli elettori in vista della consultazione confermativa. E appunto, riferisce la fonte, le percentuali del Sì e del No sono «in assoluto equilibrio».

Non è scattato l’allarme rosso, dalle parti di Meloni, Nordio e dei vertici del governo in materia di comunicazione, dal sottosegretario di Stato Fazzolari in poi, solo perché è evidente come una parte degli intervistati, ad oggi, non abbia ben chiaro cosa sia la separazione delle carriere e, in molti casi, neppure sappia che la giustizia è oggetto di un’epocale riforma. Una parte almeno delle “opinioni” raccolte non è, dunque, davvero “consapevole”. Ma il dato vero è anche un altro, è più “di prospettiva” e riguarda proprio l’elettorato meloniano in senso stretto: i fan di Fratelli d’Italia – o almeno lo zoccolo duro che ha votato in passato già per Alleanza nazionale – non ha affatto una tradizione “garantista”. Non ha mai percepito la magistratura come “nemico”. Non è insomma assimilabile al vecchio elettorato berlusconiano, che, se esistesse ancora, voterebbe allineato, coperto e senza defezioni per il Si alla separazione delle carriere.

«Non va fatta alcuna sovrapposizione automatica fra i nostri elettori e l’orientamento per il referendum sulla riforma», è la considerazione ripetuta nelle ultime ore a Palazzo Chigi. Dove la preoccupazione c’è, ovviamente, anche se, come detto, la relativa distanza temporale dal referendum tende a mitigare l’alert. Certo non si sottovalutano i sondaggi. Si spiega così la catechizzazione di ministri come Musumeci o Zangrillo, finora distantissimo dal dossier giustizia ma arrivato nei giorni scorsi a reclamare “il merito” anche nella carriera dei magistrati. Ed è solo l’inizio.

Le contromisure successive sono in pare già note: il reclutamento, quale portavoce a Palazzo Chigi, di un giornalista molto esperto di giustizia come l’attuale direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci, non a caso autore di uno dei più clamorosi scoop giudiziari dell’ultimo quarto di secolo, quello sulla cosiddetta casa di Montecarlo, costato l’uscita di scena proprio a un leader della destra, Gianfranco Fini. E anche alla luce dei sondaggi tutt’altro che entusiasmanti commissionati dalla presidente del Consiglio, il piano, nei prossimi mesi, si svilupperà con un rigoroso “addestramento mediatico” di tutte le prime linee del centrodestra, dai ministri ai parlamentari più in vista. «In modo che nessuno dei nostri confonda il Csm con un gestore di telefonia mobile», chiosa con una punta d’amarezza la fonte che per prima ha segnalato al Dubbio i sondaggi sulla riforma.

Si è detto dell’elettorato di destra. Certo, del 29 per cento tuttora attribuito a Fratelli d’Italia dalle opinioni di voto, non tutti sono anche culturalmente di destra in senso proprio. Ma una parte lo è. Ed è la parte, quantificabile più o meno intorno a quel 12 per cento che è la quotazione storica di An, appunto, prima ancora che di FdI, da cui si rischia di non ottenere una risposta compatta, affidabile, quando in primavera si celebrerà la consultazione popolare sulla riforma Nordio.

«Il fatto di essere la coalizione tuttora assistita dal maggiore consenso non vuol dire nulla», si ricorda a Palazzo Chigi, «chi voterebbe oggi per noi, e per Fratelli d’Italia in particolare, potrebbe tranquillamente astenersi al referendum sulle carriere». Come si farà a trascinare costoro alle urne e ribaltare in modo netto quel fifty fifty che oggi raccontano i sondaggi riservati, non lo sanno con definitiva certezza né Meloni, né Nordio, né Mantovano né chiunque altro, come Chiocci, contribuirà alla battaglia per il Sì. Ma non riuscirci, quello a Palazzo Chigi lo sanno benissimo, significherebbe portare l’attuale premier ai nastri di partenza delle prossime Politiche azzoppata, al punto da pregiudicarne la permanenza al vertice del governo nella prossima legislatura.