«Che giornali legge? Legge il Dubbio? Glielo ha mandato qualcuno?». Queste domande non sono state fatte nel corso di un sondaggio. Né davanti alle edicole o nel corso di una campagna abbonamenti. Queste domande sono state poste in un’aula di Tribunale, a Reggio Emilia, ai testi del processo Angeli&Demoni.

L’ultima volta è successo lunedì, quando a raccontare la propria esperienza di lavoro passata a fianco degli imputati accusati di aver falsificato le carte degli affidi c’erano un ex assistente sociale della Val d’Enza e una ancora in servizio. Ma non è stata la prima volta. Quale sia la ratio non è dato saperlo. Si può ipotizzare un tentativo di appurare la “verginità cognitiva” del teste, la sua attendibilità, ma da nessun teste, in un processo pubblico, si può pretendere che non legga i giornali.

La presenza della stampa in aula è espressione del diritto di cronaca, una cronaca che spesso, in Italia, si ferma alla fase delle indagini. Ma mentre il racconto del dibattimento fa riferimento ad un’attività pubblica, che si realizza con il contributo delle parti, la cronaca delle indagini fa riferimento ad un’attività segreta, violata quasi sempre nella totale indifferenza. L’inchiesta sui presunti affidi illeciti è stata forse quella più strumentalizzata dalla stampa negli ultimi anni, scatenando una vera e propria caccia al mostro. Al punto che i principali imputati - Federica Anghinolfi, responsabile dei servizi sociali, e Francesco Monopoli, assistente sociale - sono stati rimessi in libertà «proprio in ragione della distruzione dell’immagine pubblica degli indagati, tanto che essi devono temere per la loro incolumità».

Nonostante ciò, l’accusa di mediatizzazione è stata indirizzata alla difesa ed è arrivata nel momento in cui il procedimento è diventato accessibile a tutti. Fu il procuratore Gaetano Paci, in una delle prime udienze, a puntare il dito contro gli avvocati, rei, con le loro opposizioni e le loro critiche, di delegittimare l’accusa. I difensori, infatti, avrebbero messo in discussione la procura, nonostante la tenuta delle accuse nelle fasi cautelari e preliminari del dibattimento. «La mia non è una difesa d’ufficio perché il capo di un ufficio giudiziario ha il dovere di intervenire quando la credibilità e la professionalità di un magistrato viene messa indebitamente, scorrettamente in discussione anche attraverso articoli di stampa, spostando il sacro rispetto del recinto del processo su una funzione mediatica e mediatizzante. Nulla di più scorretto dunque», aveva sottolineato, contestando il «vaso comunicante che è evidente si è venuto a creare tra il processo e il suo palcoscenico, cioè la stampa».

Nessun vaso comunicante, assicuriamo, ma mero racconto del processo, almeno per quanto ci riguarda. E le cronache, in questo caso, restituiscono la complessità di un’indagine che era finita in maniera indistinta e definitiva sui giornali, al punto da svelare - senza alcuna conseguenza per i media che se ne sono resi responsabili - l’identità e il Comune di residenza dei minori coinvolti nel caso.

Il dibattimento, intanto, va avanti. Davanti alla Corte presieduta dalla giudice Sarah Iusto è tornata lunedì Cinzia Magnarelli, ex assistente sociale che ha patteggiato un anno e 8 mesi (pena sospesa) per aver attestato il falso in una relazione dell’agosto 2015 sull’allontanamento di due fratellini. Secondo Magnarelli, ascoltata in controesame, la rete dei servizi sociali era sommersa dal lavoro. Su domanda dell’avvocato Francesco Paolo Colliva, difensore dell’ex sindaco di Montecchio Paolo Colli, la collaborazione con la onlus “Hansel e Gretel” era motivata dal fatto che la Asl non aveva a disposizione gli psicoterapeuti per la cura del trauma. Ed è proprio per tale motivo che l’Azienda sanitaria ha organizzato un corso di formazione, tenuto dalla onlus di Claudio Foti, con lo scopo di formare gli psicologi.

L’ex assistente sociale ha poi parlato di «pressioni», pur senza circostanziare le situazioni rispetto alle quali le avrebbe subite, sottolineando che «il tema degli abusi sessuali veniva sostenuto a 360 gradi». Il disaccordo riguardava principalmente il metodo di conduzione dei colloqui con i minori: secondo Magnarelli, infatti, Monopoli – che aveva seguito corsi di formazione - avrebbe spesso incalzato i minori, modalità non gradita alla stessa assistente sociale. I malesseri, in ogni caso, c’erano, ha evidenziato. «Ma gli aspetti aspecifici dell’abuso - ha aggiunto - possono essere visti in modo diverso a seconda degli occhiali che ci si mettono». Magnarelli ha però anche chiarito che le relazioni venivano scritte sulla base del confronto anche con soggetti che non avevano avuto un coinvolgimento diretto nei casi, in un lavoro d’equipe. Particolare che, secondo Oliviero Mazza, difensore di Anghinolfi, smentirebbe la natura di atto fidefacente ipotizzata dalla pm Valentina Salvi.

L’accusa ha anche contestato la difformità dei fascicoli prodotti dalle difese rispetto a quelle depositate presso il Tribunale dei Minori, soprattutto per quanto riguarda gli appunti manoscritti, che secondo la pm non sono parte del fascicolo. Da qui la richiesta di Mazza di disporre ai sensi dell’articolo 507, quindi d’ufficio, l’acquisizione integrale del fascicolo dei servizi, decisione rispetto alla quale la Corte si è riservata. Una sorta di nemesi, dal momento che gli avvocati chiedono sin dall’udienza preliminare – iniziata nell’ottobre 2020 - il deposito dei fascicoli del Servizio sociale nel loro formato integrale, richiesta finora sempre negata. Proprio per tale motivo erano state effettuate indagini difensive con il conseguente deposito dei fascicoli integrali sia presso il pm sia presso il Tribunale da parte dei legali. «Siamo in possesso della prova digitale della completezza del fascicolo che contiene anche i manoscritti - ha commentato Mazza -. La discrasia è motivata dal fatto che che al Tribunale dei Minori veniva inviata la documentazione ufficiale e non le bozze di lavoro». Magnarelli ha confermato che il contenuto delle relazioni sui minori che arrivavano dalle scuole non era alterato o modificato: gli assistenti sociali aiutavano le scuole a scrivere in modo chiaro il contenuto delle segnalazioni, che però rimanevano fedeli al narrato della scuola. Dopo Magnarelli è iniziato l’esame di Marta Biacchi, che ha negato qualsiasi pressione da parte di Monopoli.