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Il Ministro della Giustizia Carlo Nordio durante lo svolgimento del question time alla Camera dei Deputati a Roma, Mercoledì, 23 Luglio 2025 (foto Mauro Scrobogna / LaPresse) Minister of Justice Carlo Nordio in occasion of the question time in the Chamber of Deputies in Rome, Wednesday, July 23 2025. (Photo by Mauro Scrobogna / LaPresse )
Che di scontro si sarebbe trattato, si sapeva. E oggi, sull’autorizzazione a procedere chiesta dalla Procura di Roma per Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano, la Giunta della Camera si è divisa. Con riverberi polemici più collaterali che interni all’organismo.
Fatto sta che il relatore Federico Gianassi, deputato del Pd, ha detto, e messo nero su bianco, la seguente posizione: l’autorizzazione a procedere chiesta dalla Procura di Roma per i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e per il sottosegretario alla Presidenza Alfredo Mantovano in relazione al caso Almasri deve essere concessa. Naturalmente il centrodestra, come spiega il capogruppo di FdI in Giunta Dario Iaia, non condivide «né nel merito né nel metodo».
Risultato: il 30 settembre, come già previsto, si andrà alla conta: la Giunta voterà a maggioranza, salvo cataclismi inimmaginabili in quest’era geologica, contro la posizione di Gianassi. A quel punto la procedura potrebbe imporre, all’organismo presieduto da Devis Dori di Avs, la nomina di un nuovo relatore, stavolta individuato nel centrodestra, che proponga un’analisi del caso Almasri, e delle accuse formulate da Tribunale dei Ministri e Procura di Roma, coerente con la linea dell’alleanza di governo, che è naturalmente contraria alle pretese dei magistrati.
In ogni caso il centrodestra farà l’impossibile perché l’avvicendamento e la nuova relazione rispettino tempi rapidissimi: sempre oggi, si è riunita a Montecitorio anche la Conferenza dei capigruppo, che ha indicato nel 9 ottobre la data della discussione in Aula e del voto sulla richiesta di processare i tre componenti del governo. I calendari, in Parlamento, sono fatti per essere aggiornati. Ma c’è una certa determinazione, da parte della maggioranza, nell’accorciare il più possibile la procedura, archiviare la posizione di Nordio, Piantedosi e Mantovano e passare quindi all’inevitabile, ormai, conflitto di attribuzione con la Procura di Roma su Giusi Bartolozzi, capo Gabinetto del guardasigilli e indagata dai pm capitolini per false dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria, cioè al Tribunale dei ministri che l’aveva sentita sempre sulla vicenda Almasri.
Nessuna clamorosa sorpresa, dunque. Anzi, la sola vera novità arriva proprio dal collegio istruttore, il citato Tribunale dei Ministri composto da tre magistrate che aveva condotto l’indagine sui componenti del governo, Giorgia Meloni inclusa (e per la quale si è deciso di archiviare le accuse). Ebbene, le giudici, interpellate esattamente una settimana fa da una nota formulata sempre dal centrodestra in Giunta per le autorizzazioni, hanno comunicato a Montecitorio di non essere competenti, rispetto alla posizione di Bartolozzi.
Forma implicita per ribadire che le condotte della capo Gabinetto di via Arenula sarebbero da considerarsi non legate da un “concorso” a quelle di Nordio, Piantedosi e Mantovano, e che dunque la richiesta di autorizzazione a procedere non possa essere estesa alla dirigente del ministero. Idea che coincide con le comunicazioni trasmesse martedì da Francesco Lo Voi, procuratore di Roma.
Anche qui nessuna clamorosa sorpresa: «Chiaramente l’autorità giudiziaria ha le sue prerogative, ma ce l’ha anche la Camera», chiosa Iaia. Della serie: a fronte della diversa opinione espressa dai magistrati, la maggioranza parlamentare di centrodestra farà valere, con un conflitto di attribuzione davanti alla Consulta, la convinzione che sia proprio una precedente sentenza costituzionale a prefigurare, per Bartolozzi, lo status di “co-indagato laico”. Se ne parlerà non appena si sarà concluso, con l’inevitabile no al processo per ministri e sottosegretario, il “filone principale” del caso Almasri a Montecitorio.
Secondo il relatore Gianassi, Nordio Piantedosi e Mantovano non avrebbero perseguito «né un interesse costituzionalmente rilevante né un preminente interesse pubblico», ma avrebbero compiuto «una scelta di mero opportunismo politico, fondata su timori generici e non suffragati da evidenze concrete, che mostrano la debolezza del governo italiano dinanzi a bande armate che operano all’estero e che violano i diritti umani». Perciò, l’autorizzazione a procedere, conclude il deputato dem nella relazione esposta in Giunta, va concessa.
Tesi fragile, perché la valutazione sui rischi di ritorsioni – che ha spinto, lo scorso 21 febbraio, il governo italiano a rimpatriare in Libia il torturatore Almasri, e a disattendere così le richieste della Corte dell’Aia – è inevitabilmente tutta politica. Le conseguenti condotte di ministri e sottosegretario sembrerebbero dunque rientrare appieno tra quelle coperte, per volontà dei costituenti, dall’immunità.
Dopo che in mattinata il testo di Gianassi era già stato reso noto (la seduta di Giunta ha avuto inizio alle 14.30), il capogruppo FdI Iaia aveva detto: «Il contenuto e i toni della relazione non ci hanno sorpreso perché in linea con quanto dichiarato in precedenza da Gianassi, il quale aveva già espresso opinioni negative nei confronti del ministro della Giustizia Nordio. In particolare, nella seduta del 23 luglio, aveva apostrofato il ministro come 'bugiardo' e 'fantoccio'. Avevamo già segnalato al presidente della Giunta Dori come non fosse condivisibile la nomina di Gianassi, in quanto aveva già espresso pregiudizio nei confronti dei ministri».
Obiezioni a cui la responsabile Giustizia del Pd Debora Serracchiani ha replicato: «Gli attacchi strumentali di Fratelli d’Italia al relatore Gianassi e al presidente della Giunta sono gravi e inaccettabili, confermano la volontà della maggioranza di trasformare in scontro politico ciò che è, e deve restare, un procedimento tecnico-giuridico». L’attrito era inevitabile, ma in fiondo è rimasto nel perimetro dell’abituale schermaglia.
La partita vera riguarda Bartolozzi, e in proposito va segnalata la posizione molto corretta del presidente Anm Cesare Parodi: «La collega ha diritto, come tutti, a una presunzione d’innocenza, non vedo perché non debba essere riconosciuta anche a lei. Questo è importante». Si svolgesse con gli stessi toni anche la campagna referendaria sulla separazione delle carriere, ci sarebbe da stappare lo champagne.