È proseguita ieri, nella sede della commissione parlamentare Antimafia presieduta da Chiara Colosimo, l’audizione dell’avvocato Fabio Trizzino, legale di Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino.

Il penalista è stato un fiume in piena, nell’intervento con cui ha ricostruito un puzzle complicatissimo, fatto di tradimenti, “corvi”, poteri oscuri: tutti intrecciati attorno al dossier “mafia-appalti” e tutti concausa probabile della morte di Falcone e Borsellino. Quest’ultimo, secondo Trizzino, era convinto che il procuratore di Palermo Pietro Giammanco fosse un «infedele». Borsellino, ha affermato il legale, rivolse a Maria Falcone, che con Alfredo Morvillo chiedeva perché il fratello Giovanni avesse dovuto lasciare Palermo, questa frase: «State calmi perché sto scoprendo cose tremende». Il magistrato ucciso ha via D’Amelio, ha proseguito Trizzino, aveva detto al maresciallo Canale che «voleva arrestare Giammanco» o «far arrestare Giammanco». Dopodiché incontrò segretamente, fuori dalla Procura, a fine giugno 1992 gli ufficiali del Ros Mori e De Donno, estensori del rapporto su “mafia-appalti”, per approfondire i contenuti di quel dossier. E disse loro: «In Procura parlano malissimo di lei, De Donno, ma io ho preso informazioni e ho cambiato idea». Borsellino andò dritto al punto, voleva approfondire le indagini su “mafia-appalti”: «Tutte le novità riferitele solo a me», disse a Mori e De Donno.

A quel punto il magistrato viene a sapere di «circostanze talmente gravi da rafforzarlo nel convincimento che quel capo», cioè Giammanco, «fosse un infedele», e con quest’ultimo «interrompe completamente il flusso delle comunicazioni». Roberto Scarpinato, a quel tempo magistrato della Procura di Palermo, ora deputato del Movimento 5 Stelle, sapeva dell’incontro segreto di Borsellino con gli ufficiali del Ros. Scarpinato era stato «destinatario di una confidenza di Borsellino, ed è Scarpinato a dircelo» in una testimonianza, ha detto Trizzino rivolgendosi poi all’ex pg di Palermo presente alla seduta di ieri.

La presidente Colosimo ha invitato allora l’avvocato a rivolgersi alla commissione e non al singolo parlamentare. «Il 25 giugno», ha proseguito Trizzino, «a Casa Professa Borsellino rilascia il suo testamento spirituale. Firma la propria condanna a morte, dicendo: “Io sono testimone e so cose che devo riferire all’autorità giudiziaria”. Molti collaboratori di giustizia ci dicono che lì Borsellino si sovraespose, e tra i mafiosi Salvatore Montalto riferisce al pentito Angelo Siino: “Cu ciu purtava a Borsellino di parrari di queste cose”». Montalto, ha aggiunto Trizzino, «è legato alla famiglia di Passo di Rigano (a Palermo, ndr) di Salvatore Buscemi». E «a chiedere a Riina di “accelerare” sull’esecuzione di Borsellino è proprio la famiglia di Passo di Rigano, che faceva capo ai Buscemi, i quali nell’archiviazione del dossier “mafia-appalti” vengono liquidati con appena tre parole», ha spiegato.

Trizzino ha proseguito: «I collaboratori ci dissero che Riina si prese la responsabilità dell’accelerazione della morte di Borsellino, contemplando solo l’istanza vendicativa. Riina è in pieno delirio di onnipotenza ma non era riuscito a far togliere gli ergastoli, a migliorare la vita dei carcerati. Ma si mette in mezzo Falcone. E lui ha un problema di leadership interna. Quindi decide di far uccidere Falcone a Palermo per rivendicare la propria posizione di comando. Invece l’omicidio di Borsellino non ha senso, nell’ottica di Cosa nostra. Giovanni Brusca dice: “Mi ero preparato per uccidere Mannino ma la deviazione arriva quando comincia a parlare Lipera e cambiano dunque obiettivo”. Brusca aggiunse che Buscemi godeva dell’appoggio di un certo magistrato all’interno della Procura».

L’avvocato della famiglia Borsellino ha poi fatto un appello: «Invito la commissione a chiedere all’autorità giudiziaria competente le annotazioni del diario di Giovanni Falcone, che non sono 14 ma 39». Nelle annotazioni, ha aggiunto Trizzino, Giovanni Falcone «si lamenta del fatto che, in riferimento al rapporto “mafia-appalti”, i fedelissimi di Giammanco affermino come quel rapporto fosse carta straccia». A scrivere per primo delle annotazioni riguardanti il rapporto dei Ros fu Giuseppe D'Avanzo, giornalista di Repubblica oggi scomparso. E a confermare la loro esistenza «è la Sabatino (Enza, pm a Palermo, ndr) dicendo che ne è protagonista», spiega Trizzino indicando un episodio di «umiliazione» a cui fu sottoposto Giovanni Falcone. Un giorno «Giammanco interrompe una riunione in Procura togliendo a Falcone, di fronte a tutti, il potere di assegnare fascicoli, e il fascicolo sull’omicidio del colonnello Russo e del professore Costa viene assegnato alla pm Sabatino». Giovanni Falcone decide quel giorno di andare via da Palermo: «Non poteva competere con gli appoggi politici di Giammanco, legato a Lima, e questo è un elemento che non è entrato neanche, nel processo di Capaci. Disse ai colleghi: andate via anche voi, altrimenti sarete complici di questo sistema». Si tratta di annotazioni «di cui il popolo italiano non ha avuto mai disponibilità».

E l’avvocato Fabio Trizzino ha concluso: «Non viviamo più, è del tutto impossibile l’elaborazione del lutto. Noi siamo costretti a cercare la verità. È una questione di dignità e di impegno: la nostra vita, le nuove generazioni della famiglia, anziché cercare di vivere la propria vita, sono costrette a impegnarsi nella ricerca della verità, che non è semplice. Ho un conflitto di interessi, ma di tipo emotivo. Ai siciliani dico che il motivo per cui ci hanno messo 30 anni per fare la Palermo-Messina sta nel rapporto “mafia-appalti”», in cui è condensato il sistema di «cointeressenza tra aziende della famiglia mafiosa di Passo di Rigano e le società del gruppo Ferruzzi». «Una cointeressenza che sarà replicata», dice Trizzino, «nella speculazione di Pizzo Sella, a Palermo».

L’audizione dell’avvocato Fabio Trizzino in Antimafia avrà un prosieguo durante il quale i commissari potranno rivolgere le loro domande.