IL PREMIER NON VUOLE AUMENTARE IL DEBITO

Nessun ripensamento né concessione alle richieste dei partiti, stavolta Pd incluso. Per Draghi lo scostamento di bilancio è un tabù e le cifre del Def con le quali si presenta in cabina di regia lo confermano. Draghi non asseconda i partiti: nel Def nessuno scostamento

Il conflitto cambia gli scenari: crescita del Pil al 3,1 per cento ( rispetto al 4,7 previsto a settembre). In arrivo 5 miliardi per caro prezzi, imprese e profughi

IL PREMIER INTENDE ONORARE L’IMPEGNO CON L’UE DI NON AUMENTARE IL DEBITO

Nessun ripensamento. Nessuna concessione alle richieste dei partiti, stavolta Pd incluso. Per Draghi lo scostamento di bilancio è un tabù e le cifre del Def con la quali si presenta in cabina di regia lo confermano. Sono cifre ottimiste: il Pil è al 3,1 per cento. Molto più basso del 4,7 per cento fissato nel settembre scorso, prima della crisi energetica e prima della tempesta ucraina, ma decisamente più rose del 2,8 per cento che veniva dato per certo alla vigilia. Il deficit tendenziale è del 5.1 per cento quello programmatico, cioè dopo gli interventi del governo, del 5,6 per cento: tradotto in cifre significa che ci saranno a disposizione oltre 9 miliardi, mezzo punto di Pil, per fronteggiare la crisi. Quasi metà di quel fondo, 4,5 miliardi, se ne andrà per confermare gli interventi contro il caro bollette, che peraltro si sono già dimostrati insufficienti quando la crisi energetica non era ancora stata peggiorata di molto dalla guerra in Ucraina. Gli altri 5 serviranno a calmierare il prezzo del carburante, a coprire i prezzi accresciuti dei materiali per le opere pubbliche, a garantire il credito, a fornire assistenza ai profughi ucraini.

Più di così senza aumentare il debito non si può fare e Draghi intende rispettare l'impegno con l'Europa di non aumentarlo e anzi di diminuirlo: dal 150 per cento del Pil dell'anno scorso al 146,8 per cento per poi arrivare progressivamente al 141,2 per cento nel 2025. È per ceti versi la cifra più indicativa perché conferma la scelta drastica di non ricorrere al debito neppure in presenza di una crisi imprevista di dimensioni probabilmente massicce come questa. È il contrario esatto di quanto invocavano i partiti della maggioranza che chiedevano, in particolare M5S, Lega ma anche Pd, di non considerare lo scostamento di bilancio un tabù.

Draghi ha scelto di non dare neppure minimamente ascolto con una strategia precisa in mente: difendere al millesimo gli impegni assunti con la Ue in modo da avere le carte in perfetta regola per poi chiedere un intervento massiccio, sul modello del Recovery Fund messo in campo contro il Covid, ma anche per insistere sul tetto al prezzo del gas, contrastato da Germania e Paesi del Nord, e probabilmente anche per cercare con la Bce una strada per allentare la presa sul debito ove la situazione dovesse peggiorare ulteriormente. La linea del premier però si scontra con un dato di realtà al quale le forze politiche non possono prescindere. I rincari, l'inflazione, i rischi di chiusura per il lievitare dei prezzi delle materie prime ci sono ora e non è affatto detto che famiglie e imprese possano attendere i tempi dell'Europa. Tanto più che quei tempi sembrano essere decisamente più lughi di quanto furoo contro il Covid.

A questo confronto misurato solo sulle esigenze reali di far fronte alla crisi ma con diverse strategie e privilegiando fattori diversi e contrastanti si somma però un conflitto politico latente più fondo. I 5S sono partiti decisi a dare battaglia, secondo la nuova linea adottata da Conte, anche a prescindere dalla crisi energetica. Hanno una lista di richieste lunga e palesemente impossibile, che contempla nuovi fondi per la sanità e per il salario minimo nonché un prelievo più drastico dell'attuale 10 per cento per congelare l'Iva sui prodotti che hanno subito i rincari più pesanti. È un approccio molto diverso da quello del Pd. L'idea di Conte è un contrasto politico a tutto campo, probabilmente senza mai tirare la corda tanto da arrivare alla rottura ma smarcandosi però dall'adesione secca, salvo poche occasioni, ai dettati di Draghi. È una sterzata che potrebbe tentare anche la Lega, al momento paralizzata e resa quasi afasica dal colpo durissimo ricevuto con la guerra dell'ex amico Putin.

Draghi ha scelto di ignorare le fibrillazioni del M5S, anche per confermare la sua forza e la sua autorità, uscite ridimensionate dalla sfida persa per il Colle. Stavolta però si trova di fonte uno schieramento più vasto e compatto del solito. Se, come pare certo, insisterà nell'ignorarlo i rapporti almeno con una parte della sua maggioranza si deterioreranno ulteriormente e resistere per un anno in queste condizioni non gli sarà facile.

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