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Ieri abbiamo pubblicato su questo giornale un’intervista al magistrato Guido Salvini, il quale ci ha svelato una storia veramente inquietante. Ci ha raccontato di come fu ostacolato in tutti i modi dalla Procura di Milano, quando stava lavorando alacremente all’inchiesta sulla strage di Piazza Fontana. All’epoca guidata da Francesco Saverio Borrelli, il magistrato celeberrimo per avere governato il pool di “mani pulite”, quello di Di Pietro e Davigo, che nei primi anni novanta rase al suolo la Prima Repubblica, la democrazia cristiana e il partito socialista. Dottor Borrelli, cosa ci dice di quelle inchieste sulle stragi?
Salvini ricostruisce una delle vicende più oscure della storia italiana del dopoguerra: la stagione delle stragi. Che precedette, e certamente in qualche modo influenzò, la lotta armata e gli anni di piombo. Precisamente parliamo della prima fase delle stragi, e cioè del quinquennio che va dal 1969 al 1974 ( poi ci fu una seconda fase, sanguinosissima, negli anni 80). La ricostruzione di Salvini avviene non sulla base di uno studio storico, o di una sua opinione di intellettuale, ma sulla base delle indagini che lui stesso ha svolto, con un certo successo, negli anni ottanta e novanta. Queste indagini riguardarono, in momenti diversi, due degli episodi chiave dello stragismo, e cioè il devastante attentato alla Banca dell’Agricoltura di di piazza Fontana, che avvenne e Milano nel dicembre del 1969 e che diede il via alla strategia della tensione, e poi la strage di Brescia, fine maggio 1974. Per la strage di Brescia si è arrivati martedì scorso alla conclusione giudiziaria con la condanna all’ergastolo, 43 anni dopo, di due degli autori. Per la strage di piazza Fontana, che cambiò faccia alla lotta politica in Italia - dando la parola alla violenza e alle armi e provocando la morte di quasi 2000 persone, tra le quali molti leder politici, compreso Aldo Moro, e molti poliziotti, magistrati, giornalisti – nessuno è in prigione, anche se, soprattutto grazie alle indagini di Salvini, si è ormai scoperto quasi tutto. Gli autori e i mandati della strage di piazza Fontana e quelli della strage di Brescia erano gli stessi: militanti neonazisti collegati a settori dei servizi segreti. E l’obiettivo - sostiene Salvini – era quello di destabilizzare il paese e rendere possibile una svolta reazionaria, o addirittura un colpo di stato simile a quello avvenuto nel 1967 in Grecia. Questa strategia si interruppe intorno al 1974 con la fine del regime dei colonnelli greci e poi con la caduta degli ultimi due governi totalitari di destra in Europa, e cioè quello della Spagna e quello del Portogallo.
Cosa denuncia Salvini? Racconta di come quando toccò a lui prendere in mano una indagine ( quella su piazza Fontana) nata male e proseguita peggio, tra omissioni, incompetenze e depistaggi, le cose iniziarono a cambiare e pezzo a pezzo apparve un mosaico che lasciava capire le responsabilità e le complicità nell’attentato del ‘ 69. Si trattava di lavorare su indizi e anche su prove precise, che Salvini aveva individuato. Ed era possibile e vicina la conclusione dell’inchiesta.
A quel punto però in Procura nacque una forte opposizione a Salvini. Per quale ragione? Questo, Salvini non lo spiega, ma noi ci permettiamo di avanzare qualche ipotesi.
E’ assai probabile che l’opposizione fosse dovuta essenzialmente alle invidie e alle lotte del potere dentro la magistratura. E lui fu ostacolato, e persino messo sotto inchiesta e accusato davanti al Csm. Per sette anni di seguito dovette pensare a difendersi, mentre la sua inchiesta andava alla malora, le prove si perdevano per strada, i testimoni venivano messi fuori causa.
Probabilmente alla Procura di Milano interessava poco assai della strage, che ormai era vecchia di 20 anni e aveva scarse possibilità di influire sulla lotta politica e sui rapporti di forza. Mentre l’inchiesta su Tangentopoli era molto più attuale, e aveva riflessi enormi sulla battaglia politica, sui rapporti tra i partiti, sull’orientamento dell’opinione pubblica. E anche sui nuovi assetti di potere dentro la magistratura.
Alla fine Salvini vinse la battaglia, e il Csm riconobbe la sua assoluta innocenza. Però ebbe la carriera stroncata, e cioè l’obiettivo che si poneva qualcuno in Procura fu raggiunto.
Noi possiamo anche stabilire che della carriera del dottor Salvini, e delle ingiustizie che ha subito, non ce ne frega assolutamente niente. Benissimo. Però è difficile dire che non ci frega niente neppure della verità su quegli anni, che hanno modificato la storia dell’Italia. E dunque, a parte le scuse a Salvini, dal dottor Borrelli ci aspettiamo qualche spiegazione.