E ora quale sarà il destino professionale di Nicola Gratteri? La maxi retata di ieri potrebbe essere una delle ultime in Calabria, se non l'ultima, per il procuratore di Catanzaro. Gratteri, infatti, fra meno di un anno terminerà gli otto anni, periodo massimo previsto per gli incarichi dirigenziali.

La scadenza esatta è il prossimo mese di maggio. Da quella data Gratteri tornerà ad essere uno dei tanti pm della procura calabrese. Una degna conclusione di carriera potrebbe essere, allora, la procura di Napoli, l'ufficio inquirente più grande d'Europa, con oltre cento sostituti. Per quell'incarico la concorrenza è quanto mai agguerrita. Hanno fatto domando Gimmi Amato, procuratore di Bologna, Aldo Policastro, procuratore di Benevento, Francesco Curcio, procuratore di Potenza, e Rosa Volpe, fino alla scorsa settimana procuratore facente funzioni a Napoli. Avendo anch'ella raggiunto i fatidici otto anni da procuratore aggiunto, è tornata pm ed è stata sostituita nell'incarico da Sergio Ferrigno.

Il Consiglio superiore della magistratura, prima della pausa estiva, è intenzionato a dare un capo ai pm partenopei, ponendo fine a questa girandola di procuratori facenti funzione. L'ufficio è scoperto da oltre un anno, da quando Giovanni Melillo venne nominato procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Ma torniamo a Gratteri. Magistrato non etichettabile sotto il profilo delle correnti, potrebbe catalizzare intorno a sé il consenso dei laici. Per lui voterebbero in maniera compatta quelli di Fratelli d'Italia e della Lega. È nota la stima nei suoi confronti della premier Giorgia Meloni e di Matteo Salvini. Ma anche Forza Italia, con Enrico Aimi, potrebbe votarlo tranquillamente. «Ringrazio il procuratore per il lavoro svolto e per la sua quotidiana attività contro il malaffare», ha dichiarato ieri il forzista Roberto Occhiuto, governatore calabrese.

Per Gratteri, poi, potrebbe votare anche Ernesto Carbone, laico di Italia Viva. Matteo Renzi nel suo governo lo voleva, prima di essere stoppato da Giorgio Napolitato, come ministro della Giustizia. E anche Michele Papa, professore in quota M5S, potrebbe votare per Gratteri, dal momento che il magistrato è spesso ospite sulle pagine del Fatto Quotidiano, giornale di riferimento dei pentastellati. Lo stesso potrebbe fare Roberto Romboli, laico in quota Pd. Se per i laici l’en plein è quasi certo, discorso diverso riguarda i componenti togati. Ad oggi l'unico che pare aver sciolto la riserva è il togato indipendente Andrea Mirenda. Abbottonati tutti gli altri. Al momento del voto, però, i togati di Magistratura indipendente, il gruppo moderato, potrebbero convogliare su di lui non avendo un loro candidato per quell'incarico.

Certamente una bocciatura sarebbe difficile da spiegare. Soprattutto dopo essere stato già bocciato l’anno scorso proprio per la procura nazionale antimafia. Per Gratteri avevano votato all’epoca i due pm antimafia Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita, i due togati di Autonomia&indipendenza Giuseppe Marra e Ilaria Pepe, i laici in quota Lega Stefano Cavanna ed Emanuele Basile, nonché Fulvio Gigliotti, l’altro laico in quota M5S.

«Gratteri in questo momento è l’unico magistrato effettivamente in prima linea contro la criminalità organizzata, in particolare la ’ndrangheta, la più pericolosa e temibile che esiste», aveva dichiarato Di Matteo. «Si tratta - aggiunse - di uno dei magistrati più esposti al rischio. Sono state acquisite notizie circostanziate di possibili attentati nei suoi confronti poiché in ambienti mafiosi ne percepiscono l'azione come un ostacolo e un pericolo concreto. In questa situazione una scelta eventualmente diversa suonerebbe inevitabilmente come una bocciatura e non verrebbe compresa da quella parte di opinione pubblica ancora sensibile al tema della lotta alla mafia e agli occhi dei mafiosi e risulterebbe come una pericolosa presa di distanza istituzionale di un magistrato così esposto. Dobbiamo avvertire la responsabilità di non cadere in questi errori che hanno pericolosamente marchiato il Csm e creato le condizioni di isolamento, terreno più fertile per omicidi e stragi», sottolineò Di Matteo, riferendosi a Giovanni Falcone al quale venne preferito Antonino Meli per la Procura di Palermo.

«È come se la storia non ci avesse insegnato nulla», puntualizzò Ardita, secondo cui «la tradizione del Csm è di essere organo abituato a deludere le aspirazioni professionali dei magistrati particolarmente esposti nel contrasto alla criminalità organizzata, finendo per contribuire indirettamente al loro isolamento. L'esclusione di Gratteri sarebbe non solo la bocciatura del suo impegno antimafia, ma un segnale devastante a tutto l'apparato istituzionale e al movimento culturale antimafia». In caso di nuova bocciatura Gratteri ha fatto sapere che si dedicherà ad altro, come il suo amato agrumeto a Gerace.