Riportiamo di seguito il testo integrale della lectio di Giovanni Falcone all’Istituto Gonzaga dei Gesuiti, 8 maggio 1992.

Parlare di rapporti tra politica e magistratura in maniera serena e scevra da emozionalità, e senza riferimento alle vicende che tutti quanti stiamo vivendo o che comunque abbiamo sotto gli occhi in questo momento, è praticamente impossibile. Ma a questo punto mi domando se l’emozionalità, la polemica, la conflittualità fra magistratura e potere politico non possa essere, contrariamente a quello che generalmente si pensa, almeno in una quantità accettabile, un qualcosa di vivo e di vitale per approfondire i problemi.

Devo dire che sono stato, per un certo periodo di tempo, molto preoccupato dal fatto che problemi essenziali, fondamentali per la democrazia, come quelli di cui oggi ci occupiamo, non sembrassero più all’attenzione né degli addetti ai lavori né della società civile. E quelle rarissime volte che se ne parlava, era un po’ come uno stanco rituale. Mentre adesso, da un po’ di tempo a questa parte, le cose stanno cambiando, le cose sono cambiate e si discute di questi problemi con una passione civile che, al di là e nonostante le inevitabili strumentalizzazioni che se ne fanno, è qualcosa che veramente rincuora. Perché, ribadisco, su questi problemi, che non sono affatto problemi riservati a un’élite di esperti, si gioca lo stesso avvenire della nostra giovane democrazia.

Ed è veramente singolare però che – e per quel che potrò, anche oggi, come da un po’ di tempo sto facendo, cercherò di focalizzare certi punti, certi aspetti del problema –, dicevo, è veramente singolare che tuttavia, al di là di certe affermazioni di principio, al di là di certe contrapposizioni statiche, tuttora, però, non si vada. Senza raggiungere, e senza neanche avvicinarsi, almeno al mio modo di vedere, a quelle che sono le vere questioni.

Leggevo oggi... ho portato con me alcuni articoli e alcuni brani di certi libri, se volete per una forma di “tuziorismo”, perché certe volte, spesso – almeno a me capita – si confonde l’esistenza di un problema con chi lo denuncia: anziché occuparsi del problema, si demonizza chi pone la questione, chi cerca di attirare l’attenzione sul problema stesso. Ho portato quindi questi articoli, e questi brani da alcuni libri, perché su di essi possiamo fare una riflessione, per quanto possibile, serena.

Ecco, dopo una moda che per un certo tempo è stata pressoché costante, la moda del linciaggio, verso la politicizzazione dei giudici – dico linciaggio perché, se è vera la denuncia della politicizzazione dei giudici, almeno entro certi limiti, non è corretto l’uso strumentale che di queste inevitabili strutture è stato fatto nel corso di questi ultimi tempi –, dopo un periodo, dicevo, di attacco frontale contro i giudici, attacco che si è concretizzato, che ha avuto il suo punto più elevato nel referendum sulla responsabilità civile, ecco adesso, con una velocità degna di miglior causa, adesso siamo di fronte alla difesa ad oltranza della indipendenza dei giudici.

Cerchiamo di vedere un po’ meglio di che cosa ci si occupa, di che cosa stiamo parlando, perché altrimenti si corre il rischio di fare quel solito ragionamento per slogan che non ci fa fare un solo passo in là.

GIOVANNI FALCONE
GIOVANNI FALCONE
GIOVANNI FALCONE (IMAGOECONOMICA)

LA CITAZIONE DAL “GIORNALE” DI MONTANELLI

Ecco, vorrei trarre spunto da un articolo pubblicato oggi sul “Giornale” di Montanelli, un articolo di Salvatore Scarpino che, devo dire, è abbastanza pessimista, nel senso che i problemi da lui focalizzati, da lui messi in evidenza, a suo dire non hanno ancora possibilità di soluzione. In buona sostanza cosa afferma? Da un lato che, fra il malaffare degli uomini dei partiti e i cittadini su cui si scaricano i costi inconfessabili della corruzione, è rimasta soltanto la magistratura.

Abbiamo fatto, se volete, un notevolissimo passo avanti e se si pensa che, fino a poco tempo addietro, ci si addossava, ci si addebitava una cosiddetta supplenza che inevitabilmente è una stortura.

Adesso invece si afferma che... è l’angolo visuale che è mutato, ma la sostanza dei problemi non è mutata... adesso invece si afferma che, in realtà, tutte le strutture amministrative burocratiche di controllo sono saltate, o non sono mai state efficienti, e di fronte al malaffare della politica è rimasto soltanto il filtro della magistratura.

Oggi, ecco ribadisco, dice Scarpino – non lo dimentichiamo perché altrimenti poi sono io che le affermo, queste cose – oggi da una parte c’è il politico, governante, legislatore, amministratore, dall’altra c’è il giudice e, fra i due, un clima di sospetti e di rancore.

È così, mentre da un lato una frazione della magistratura si è messa a giocare alla politica avanzando pretese di impossibile supplenza nell’azione di governo – ecco, qui ritorna il discorso della supplenza –, dall’altro lo scandalo delle tangenti serve certamente per rinfocolare le polemiche. Con la conseguenza che, secondo questo autore, i veri problemi non vengono affrontati. E quindi i legittimi problemi di efficienza e di coordinamento nell’organizzazione del lavoro giudiziario non vengono affrontati, mentre per contro – ecco il discorso – molti politici vorrebbero irregimentare i pubblici ministeri per impedirgli di arrestare gli assessori sgraffignoni.

Insomma, in buona sostanza siamo ancora una volta in presenza della storia infinita delle reciproche querelle dei magistrati che addebitano al potere politico di voler soffocare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura per ottenere una sostanziale impunità, e dall’altro i politici che addebitano alla magistratura un sostanziale straripamento dai propri compiti per ergersi a una sorta di contropotere non legittimato da alcuna istanza popolare.

GIOVANNI FALCONE
GIOVANNI FALCONE
GIOVANNI FALCONE

LA TESI DI MIGLIO

Il problema diventa sempre più pressante perché vi sono diversi orientamenti, diversi settori di opinione, per ora minoritari ma sempre più ascoltati, che propugnano, che si rendono partecipi, che si rendono interpreti di una nuova concezione dei rapporti fra i diversi poteri – meglio, fra le diverse funzioni dello Stato – che porterebbe ad un reciproco gioco fra le tre diverse funzioni dello Stato in maniera molto diversa, molto differente rispetto a quella attuale.

Mi riferisco in particolare all’opinione delle Leghe, e soprattutto a quanto ha recentemente, recentissimamente, scritto il loro ideologo, il professor Miglio, che in un suo recentissimo libro, Come cambiare. Le mie riforme, si occupa anche dei problemi della magistratura.

Mi sembra importante parlarne perché credo si tratti di affermazioni che, anche per l’autorevolezza di chi le scrive, di chi le manda avanti, meritano di essere attentamente meditate. Ovviamente cercherò di essere il più breve possibile, ma i punti più importanti vorrei sottoporli alla vostra attenzione.

Cosa dice Miglio? L’Italia si trova in una situazione paradossale: avrebbe bisogno di una legione di magistrati efficientissimi come automi spietati, e invece si trova dinanzi ad un’armata Brancaleone di persone per lo più politicizzate e compromesse con i partiti.

Miglio parla soprattutto di due problemi, che dovrebbero essere affrontati e in cui c’è l’ubi consistam – lui, almeno, individua l’ubi consistam – dei motivi della scarsa efficienza della magistratura, e soprattutto dell’attrito fra le diverse funzioni dello Stato.

Dice: la prima questione tecnica concerne il riassetto dell’organo di autogoverno dei giudici; io ritengo che esso debba essere composto soltanto da magistrati, debba avere competenza esclusivamente sulla gestione delle carriere del personale giudicante ed essere presieduto dal presidente della Corte di Cassazione.

Quindi: eliminazione totale della politica, della componente laica del Csm, e unicamente funzioni di amministrazione della carriera dei magistrati.

MIGLIO E L’ORDINAMENTO DEI PM

La seconda questione concerne – ecco, questo mi sembra forse l’aspetto più importante delle ideologie o delle idee di Miglio, con cui cominciamo ad enterare veramente in medias res – l’ordinamento del pubblico ministero: premesso che gli organi di questa funzione dovrebbero essere nettamente distinti da quelli della funzione giudiziaria, che ciascun ufficio dovrebbe essere organizzato gerarchicamente al suo interno e che gli organi superiori dovrebbero poter avocare a sé, nell’ambito territoriale della propria competenza, gli affari trattati dagli organi inferiori, i funzionari del pubblico ministero dovrebbero avere una propria carriera, distinta da quella dei magistrati della funzione giurisdizionale, e non dovrebbero poter essere trasferiti ad uffici di quest’ultimo.

Il loro reclutamento dovrebbe avvenire per concorso, ma la nomina, le promozioni, le assegnazioni, eccetera, dovrebbero spettare al procuratore della Cassazione, cioè al vertice di un ordinamento del pubblico ministero ridisegnato dall’ideologia delle Leghe e individuata dal professore Miglio.

Ecco, adottando questo disegno, si avrebbe il massimo di unità nella organizzazione e nella gestione del pubblico ministero. E poi soprattutto – e questo farà storcere il naso a parecchi – è evidente che l’amministrazione della giustizia in Italia potrà diventare meno insoddisfacente soltanto se si capovolgerà l’interpretazione permissiva e perdonista dell’articolo 27 della Costituzione – quella secondo cui le pene devono tendere alla rieducazione del condannato.

Le pene devono essere e tornare ad essere tali e devono essere scontate fino in fondo; la rieducazione del condannato deve essere perseguita soltanto laddove quest’ultimo si riveli oggettivamente suscettibile di un siffatto recupero; nei casi più gravi contemplati nel codice penale, la sentenza di condanna in primo grado deve produrre immediatamente i suoi effetti costrittivi. La società ha diritto di difendersi contro chi attenta alle legittime prerogative dei suoi componenti.

FALCONE: IO DICO CHE NON POSSIAMO IGNORARE POSIZIONI COME QUESTE

Ecco, ho riferito, mi sono attardato un po’ nel leggervi queste cosette, perché, ecco, dovremmo cominciare a renderci conto, un po’ tutti, che c’è una fascia sempre più larga della società che ha una concezione, e dei rapporti tra le funzioni, le diverse funzioni dello Stato, e sulla indipendenza e autonomia della magistratura, che certamente non è consonante rispetto a quanto generalmente si afferma e rispetto a quanto spessissimo sentiamo dire, soprattutto in questi giorni, spesso con toni e con accenti non privi di una certa retorica. Liquidare queste opinioni in maniera sbrigativa non si può – a tacer d’altro, perché sono autorevolmente rappresentate, quanto meno sotto l’aspetto quantitativo, anche nel Parlamento nazionale.

Ecco: con esse si dovrà fare i conti, in una prospettiva di riforma istituzionale a cui, secondo quanto tutti affermano, dovrebbe essere dedicata la legislatura in corso. Ecco allora forse che un approfondimento di questi problemi è non solo utile, ma io direi essenziale per ciascuno di noi, per sapere, soprattutto, anzi per cominciare a capire di che cosa stiamo parlando.

LA BASE DELL’ANALISI DI FALCONE

E allora mi è sembrato utile e, soprattutto... come introduzione a un discorso, perché nessuno ha la bacchetta magica, e i problemi sono apparentemente semplici ma in realtà estremamente complessi... ecco, mi è sembrato opportuno richiamare adesso alcuni punti da cui, a mio modesto modo di vedere, bisognerebbe partire, per un ragionamento utile su questi argomenti.

Il punto di partenza non può essere che l’assetto della magistratura nel complesso dei pubblici poteri quale è disegnato dalla Costituzione.

E basterebbe richiamare questi articoli per rendersi immediatamente conto di come il problema sembrerebbe abbastanza semplice. L’articolo 101 afferma che i giudici sono soggetti soltanto alla legge; per il 104, la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere; per il 107, i magistrati sono inamovibili; per il 107 secondo comma, i magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzione – cioè, l’indipendenza interna e non soltanto esterna; per il 109, un articolo che a mio modo di vedere è di importanza essenziale e tuttavia, anzi forse per ragioni ben intuibili, su di esso non si riflette tuttora abbastanza, per l’articolo 109, ripeto, l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria.

Che significa tutto questo? Sembra abbastanza evidente che è un sistema che ruota attorno a una autonomia e indipendenza della magistratura, per cui formalmente sembra che tutto sia semplice e che sia già stato risolto: la magistratura non può in alcun modo essere influenzata nell’esercizio dei suoi compiti istituzionali; non ci sarà, non ci potrà mai essere, non ci deve mai essere alcun ministro, alcun governo, alcun potere esterno alla magistratura che possa in qualche modo influenzare l’esercizio della funzione giurisdizionale.

E questo, a tacer d’altro, è un principio di altissima democrazia perché serve a garantire l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, e come corollario si richiama l’articolo 112 che richiama il concetto di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale: tutti i cittadini devono essere trattati in maniera uguale, e quindi tutti coloro che commettono reati devono essere ugualmente perseguiti.

GIOVANNI FALCONE
GIOVANNI FALCONE
GIOVANNI FALCONE (IMAGOECONOMICA)

E sembra una costruzione giuridica intrinsecamente coerente e dotata di una sua logicità. Ma se andiamo poi a guardare un po’ più a fondo, un po’ più in concreto, ci rendiamo conto che, fermo restando – almeno nella mia prospettazione, nelle mie convinzioni – il concetto di autonomia e indipendenza della magistratura, poi, nel concreto, sono tali e tante le questioni che questo concetto di autonomia e di indipendenza, che viene con tanta giusta enfasi portato avanti dalla magistratura e da vasti, vastissimi settori della società civile, si trova a dover fare i conti con una realtà molto dura e molto difficile da affrontare. Ma soprattutto, sono tanti i quesiti che ci si pone e che hanno trovato soluzione diversa in diversi ordinamenti e in diversi momenti storici anche nel nostro Paese.

LA MAGISTRATURA DEVE ASSICURARE EFFICIENZA COME LE ALTRE FUNZIONI DELLO STATO, DALLE QUALI NON PUÒ ESSERE SEPARATA

Ecco quindi una prima acquisizione: questo astratto, queste enunciazioni di principio di autonomia e indipendenza della magistratura, devono fare i conti con tutta una serie di problemi concreti, e la soluzione di certi problemi in un determinato momento e in un determinato modo rispetto ad altri modi, produce conseguenze di non poco momento.

Ecco perché mi è sembrato sempre importante avvertire che l’autonomia e l’indipendenza della magistratura non è un valore... anzitutto è un valore che è storicamente da valutare, ma soprattutto è un valore che ha una sua razionalità, una sua giustificazione, una sua logica, una sua spiegazione in quanto costituisce non un privilegio di casta, non è un privilegio della magistratura, riservato ad un’élite di funzionari dello Stato: l’inamovibilità, l’autonomia, l’indipendenza, sono valori, oltre che principi costituzionali, che servono per l’efficienza della magistratura, non meno dell’efficienza della pubblica amministrazione in genere.

Come anche ha detto più volte, riconosciuto più volte, la Corte Costituzionale, l’articolo 97 della Costituzione, che riconosce, che stabilisce che i pubblici uffici debbono essere organizzati in modo da assicurare il buon andamento della pubblica amministrazione, è un principio che vale per tutti gli pubblici uffici, ivi compresa la magistratura. E da come, poi, nel concreto viene regolato l’esercizio della funzione giurisdizionale e soprattutto i delicatissimi rapporti nel processo penale fra pubblico ministero e giudice, ecco, da come tutto questo verrà nel concreto stabilito, dipenderà, nel concreto, sottolineo ancora una volta, il funzionamento, la vigenza di questo principio di autonomia e di indipendenza della magistratura.

E autonomia e indipendenza che, se da un lato sono strettamente legate, devono essere strettamente legate alla efficienza dell’azione della magistratura, dall’altro lato non significano affatto separatezza della magistratura rispetto alle altre funzioni dello Stato.

Io credo che prima o poi si riconoscerà che al principio dell’autonomia e dell’indipendenza è stato attribuito un valore così meccanicistico di separatezza rispetto alle altre funzioni dello Stato, che nel concreto determina grossi problemi di funzionamento e di raccordo fra le varie funzioni dello Stato.

IL RUOLO DEL PUBBLICO MINISTERO

Credo che sia importante, per cercare di capire che cosa accade rispetto al funzionamento del pubblico ministero, un breve excursus storico, per rendersi conto che questi concetti devono essere calati storicamente.

Potremmo cominciare dall’ordinamento giudiziario del 1865, non vi preoccupate sarò rapidissimo, in cui il pubblico ministero – io batto sempre l’accento sul pubblico ministero, e credo che finalmente un po’ tutti adesso si rendano conto che è il cardine di qualsiasi riforma non tanto del processo penale, ma soprattutto dell’ordinamento giudiziario... la concreta disciplina del funzionamento del pubblico ministero –.

Ritornando al 1865, il pubblico ministero veniva indicato come il rappresentante del potere esecutivo presso l’autorità giudiziaria, posto sotto la direzione, attenzione, direzione del ministro della Giustizia. Nulla di scandaloso, se questa è la stessa indicazione del pubblico ministero, è la stessa ricostruzione del pubblico ministero quale abbiamo adesso nell’ordinamento francese; e difatti è proprio dall’ordinamento francese che nel 1865 deriva questa ricostruzione dell’ordinamento giudiziario del pubblico ministero in particolare.

In buona sostanza, il pubblico ministero, in quell’ottica, non era altro che l’organo... cioè, esplicava le funzioni di rappresentare le attese del potere esecutivo nel processo penale in ordine all’amministrazione della giustizia.

Foto LaPresse Torino/Archivio storicoStorico1992Paolo BorsellinoPaolo Emanuele Borsellino (Palermo, 19 gennaio 1940 ? Palermo, 19 luglio 1992) è stato un magistrato italiano. Assassinato da cosa nostra assieme a cinque agenti della sua scorta nella strage di via d'Amelio, è considerato uno dei personaggi più importanti e prestigiosi nella lotta contro la mafia in Italia, insieme al collega ed amico Giovanni Falcone.nella foto: Falcone e Paolo Borsellino neg 920742Photo LaPresse Turin/Archives historicalHystory1992Paolo Borsellinoin the photo: Falcone and Paolo Borsellino
Foto LaPresse Torino/Archivio storicoStorico1992Paolo BorsellinoPaolo Emanuele Borsellino (Palermo, 19 gennaio 1940 ? Palermo, 19 luglio 1992) è stato un magistrato italiano. Assassinato da cosa nostra assieme a cinque agenti della sua scorta nella strage di via d'Amelio, è considerato uno dei personaggi più importanti e prestigiosi nella lotta contro la mafia in Italia, insieme al collega ed amico Giovanni Falcone.nella foto: Falcone e Paolo Borsellino neg 920742Photo LaPresse Turin/Archives historicalHystory1992Paolo Borsellinoin the photo: Falcone and Paolo Borsellino
Falcone e Borsellino (LaPresse)

Ma se, fra diverse vicende, è questa la configurazione del pubblico ministero fino al periodo immediatamente antecedente al fascismo, le cose cambiano, e a mio modo di vedere cambiano in peggio, con il Codice Rocco e con l’entrata in vigore delle normative di matrice fascista, e nel processo penale, e nell’ordinamento giudiziario. Ed è singolare che questa vera e propria esplosione dei poteri del pubblico ministero nel processo penale – i meno giovani si ricorderanno, e i giuristi si ricorderanno del Codice 1930 nel momento in cui era previsto, prima della meritoria opera della Corte Costituzionale, che il pubblico ministero era in grado di prevaricare, di condizionare non soltanto le altre parti ma lo stesso giudice istruttore.

Ed è singolare che questa accentuazione dei poteri del pubblico ministero venne illustrata con parole che, testualmente, richiamano le parole che sono state utilizzate nel nuovo processo penale in cui il pubblico ministero ha poteri enormemente inferiori rispetto a quelli del Codice RoccoCioè, quei poteri di allora e questa regolamentazione delle sue funzioni di adesso vengono giustificate sul presupposto della restituzione, al pubblico ministero, del genuino ruolo di parte del processo penale. Ecco come con le stesse parole si possono giustificare soluzioni diametralmente opposte.

FALCONE: CON LA COSTITUZIONE DEL ’48 SI CREA DI FATTO UNO STALLO

Bene: con l’entrata in vigore dell’ordinamento democratico, costituzionale, si creano, si crea in realtà una situazione di stallo, una situazione di stallo che è frutto di quell’equivoco, o di quella necessaria contrapposizione fra culture di matrice diversa – cultura liberale, cultura cattolica, cultura di matrice socialista – alla base della Costituzione. E difatti, mentre nel testo della Commissione dei 75 il pubblico ministero era indicato come colui che gode di tutte le garanzie dei magistrati, questo concetto entra in crisi quando l’onorevole Giovanni Leone, il futuro Presidente della Repubblica, presenta un emendamento in cui si afferma che il pubblico ministero è un organo del potere esecutivo.

La soluzione, come spesso accade da noi, è, tra virgolette, all’italiana: il testo finale è quello dell’articolo 107 quarto comma della Costituzione secondo cui il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite, nei suoi riguardi, dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

Il che porta alcuni – e si tratta di persone di sicura fede democratica – a affermare che sarebbe possibile anche adesso, sulla base della Costituzione attuale, senza violare alcun precetto costituzionale, assoggettare il pm a qualche ingerenza da parte degli altri poteri dello Stato.

Vedi, per esempio, la soluzione, famosa, sempre fra gli addetti ai lavori, del 1979, del professor Pizzorrusso, attuale componente del Csm, che affermò esser possibile sottoporre il pubblico ministero alla vigilanza di una commissione parlamentare. Non mi sembra che sia il momento, né la sede, per approfondire questi concetti o questi problemi, che sono però di notevolissimo momento.

FALCONE: IL PUBBLICO MINISTERO NON PUÒ DIRSI GIUDICE

Quello che mi sembra importante, però, è rilevare, a tutti coloro che ne parlano, e ne devono parlare sempre in numero maggiore, che parlare di autonomia e indipendenza della magistratura significa ben poco se poi, nel concreto, non individuiamo delle soluzioni che possono essere praticabili e su cui fondare certe ricostruzioni.

Per esempio, a me sembra che si dovrebbe partire da quella che è l’affermazione ormai costante della Corte Costituzionale in materia di pubblico ministero: il pubblico ministero è, sì, un organo giudiziario ma, dico testualmente, non essendo titolare della potestà di giudicare, neppure può dirsi giudice in senso tecnico. È un’affermazione che a molti di voi potrà sembrare ovvia, ma che in realtà, a mio avviso, è il punto di partenza da cui partire per venire a una ricostruzione logica, accettabile di un pubblico ministero che sia, che debba essere autonomo e indipendente, ma anche efficiente.

Cosa intendo dire? Intendo dire che, quali che possano essere nel concreto le soluzioni da adottare, un punto mi sembra fondamentale, che il pubblico ministero deve avere un tipo di regolamentazione ordinamentale che sia differente rispetto a quella del giudice, non necessariamente separata, e questo non per assoggettarlo all’esecutivo, come si afferma, ma al contrario per esaltarne l’indipendenza e l’autonomia. Fra gerarchia e indipendenza vi è tutta una serie di figure intermedie che servono a fare in modo che la indipendenza sia finalizzata al raggiungimento degli scopi per cui il pubblico ministero è stato creato.

MI ACCUSARONO DI VOLERE IL PM DIPENDENTE DALL’ESECUTIVO

Mi ricordo, vorrei ricordare – sono problemi che riguardano la mia persona e li richiamo soltanto perché possono essere utili per spiegare un concetto – che venni accusato di volere – accusato fra virgolette –, di volere il pubblico ministero dipendente dall’Esecutivo quando, in un convegno, dissi che occuparsi della obbligatorietà dell’azione penale è, sì, un fatto importante, ma non è essenziale.

Perché? Perché l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale è differente, ha una sua valenza diversa, a seconda del processo penale in cui viene l’azione penale configurata in una maniera anziché in un’altra. Per uscire dal vago, per cercare di spiegarmi meglio: nel nostro codice attuale, ispirato a un principio dispositivo – processo di tipo, chiamiamolo accusatorio, quantomeno tendenzialmente –, l’azione penale viene esercitata soltanto quando viene formulata l’imputazione e si chiede il rinvio a giudizio dell’indagato, che a quel punto diventa imputato, o si esercitano i riti alternativi.

Tutto questo può sembrare astruso, ma significa soltanto una cosa, su cui pochi riflettono o su cui fanno finta di non pensarci: significa che tutta l’attività delle indagini preliminari, tutta l’attività investigativa svolta dal pubblico ministero è un’attività che non è regolata, che non sta sotto l’egida del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. E tutto questo è stato utilizzato, da un illustre autore ad un convegno, con il richiamo all’articolo 97 della Costituzione. Cosa ha detto? Che, quindi, l’attività delle indagini preliminari, essendo un’attività amministrativa, è disciplinata da quella norma che regola il buon andamento della pubblica amministrazione. Questo significa introdurre di soppiatto la discrezionalità nella fase delle indagini preliminari.

CI POSSONO ESSERE PM NON IN GRADO DI DIRIGERE LA POLIZIA GIUDIZIARIA

Ecco, quindi, che siamo di fronte a problemi di una enorme complessità, che non si possono liquidare accusando Tizio Caio di volere un pubblico ministero dipendente dall’Esecutivo ma cercando di sforzarci tutti quanti per rendere un sistema che nel concreto sia coerente. Spessissimo, nella mia ormai non più tenera età, ho assistito a ad accuse ricorrenti, da parte degli organi associativi nei confronti del potere politico, di sostanziale inattuazione dell’articolo 109 della Costituzione, cioè quello secondo cui la magistratura dispone direttamente della polizia giudiziaria.

Bene: abbiamo fatto, o hanno fatto, un codice di procedura penale in cui il rapporto di dipendenza della polizia giudiziaria rispetto alla magistratura è ormai pressoché integrale, ed ecco che ci si comincia a rendere conto che, forse, anche qui le cose stanno in una linea mediana, per evitare che il funzionario di polizia si renda, si senta deresponsabilizzato e, dall’altro, per evitare che il pubblico ministero, spesso non dotato di una sufficiente professionalità, possa creare problemi alla conduzione delle indagini mediante direttive che non sono adatte rispetto a quel singolo caso.

Ecco quindi che il problema dell’autonomia e dell’indipendenza viene calato nel concreto, perché, come mi sembra intuitivo, un’autonomia e indipendenza formale della magistratura significa ben poco (qui la registrazione si interrompe e si perde il senso della frase, ndr) ...dalla magistratura ma (qui il soggetto è “la polizia giudiziaria”, presumibilmente, ndr) compie le proprie indagini rispondendo a esigenze e a istanze decisionali diverse da quelle della magistratura; ma, allo stesso modo, una polizia giudiziaria che dipende direttamente dal pubblico ministero ben poco serve ad accrescere la sua autonomia e indipendenza se poi il pubblico ministero non è in grado di dirigerla.

Quindi, il rischio che si corre è la creazione, il richiamo di princìpi solenni su cui tutti quanti non si può non convenire, per la loro razionalità, per la loro rispondenza alla Costituzione, princìpi però che poi, nel concreto, vengono vanificati o resi di difficile attuazione da regolamentazioni diverse che non riescono a rendere il concetto attuale, concreto.

Ecco perché, e così mi avvio rapidissimamente alla conclusione, ecco quindi perché a me sembra che fosse necessario il richiamo di quelle pagine del professore Miglio: per rendersi conto che ormai non c’è più tempo, se mai ve n’è stato, per astratte affermazioni di principio, perché occorre fare in modo che queste soluzioni riguardanti il pubblico ministero, e soprattutto, in genere, l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, rispondano alle reali esigenze della società, siano funzionali alle esigenze della società, e come tali, quindi, vengano riconosciute come un valore da custodire e rafforzare da parte di tutta la società, e non già un privilegio che, come tutti i privilegi, è sempre odioso. Grazie.