«Dal 1° gennaio 2023 sarà vigente la mia proposta sull’oblio per gli assolti: i motori di ricerca dovranno dissociare i nomi degli assolti dalle notizie circolanti in rete sulle inchieste da cui sono risultati innocenti. Basta innocenti marchiati a vita da indagini finite nel nulla»: così il deputato e responsabile giustizia di Azione Enrico Costa ha chiuso il suo anno su Twitter. Stiamo parlando del suo emendamento approvato alla riforma del processo penale di mediazione Cartabia.

«La persona nei cui confronti sono stati pronunciati una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero un provvedimento di archiviazione – recita l’articolo 64-ter della norma- può richiedere che sia preclusa l’indicizzazione o che sia disposta la deindicizzazione, sulla rete internet, dei dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento, ai sensi e nei limiti dell’articolo 17 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196».

Basterà che la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento apponga e sottoscriva una annotazione. Come dice Enrico Costa al Dubbio «la forza dell’emendamento è che oggi il soggetto può presentarsi dinanzi al motore di ricerca con un provvedimento della cancelleria del giudice. Lo spirito delle mie iniziative, anche riguardo alle spese legali per gli assolti, è quello per cui se lo Stato ti chiama a rispondere per un reato e poi ti assolve deve consentirti di rientrare in società con la stessa reputazione che avevi prima. Non ci deve essere una macchia solo perché le notizie della tua indagine sono andate in giro».

Ma questa norma «non interessa tanto i processi di persone estremamente in vista e popolari, ma soprattutto le persone semplici che vanno, ad esempio, a cercare un lavoro e potrebbero non ottenerlo perché da una ricerca in rete di chi fa il colloquio compare subito la notizia della sua indagine benché sia stato assolto».

Vediamo tecnicamente come funziona la norma. Due sono le strade: o una deindicizzazione preventiva, ossia il soggetto prima indagato/processato e poi assolto chiede che non vengano scritti articoli o, qualora già ci fossero, chiede che scompaiono dai motori di ricerca. Ma cosa è la indicizzazione? Come ci spiega Fulvio Sarzana, avvocato e professore di diritto comparato delle nuove tecnologie presso l’Università internazionale Uninettuno, «deindicizzare significa fare in modo, attraverso particolari procedure tecniche, che, all’interno dell’articolo, il nome del soggetto non appaia sui motori di ricerca, non venga da loro catturato. Se c’è un archivio storico del giornale, però, esso va mantenuto ma l’articolo online deve far sì che il nome non appaia su Google, ad esempio». Il diritto all’oblio, prosegue Sarzana, «non deve per forza riguardare inchieste giudiziarie, ambito nel quale si muove l’emendamento Costa, e prevede diverse strade: eliminazione del nome, delle iniziali, de-indicizzazione, cancellazione dell’articolo. Quest’ultima, per una serie di ragioni, non è stata mai realmente realizzata».

Una volta ottenuta l’annotazione della cancelleria che succede? “Non sono indicati i passaggi successivi - evidenzia Sarzana -; è probabile che il soggetto interessato, una volta ottenuta l’annotazione della cancelleria, scriva al sito giornalistico o ai motori di ricerca”. Sull’accettazione della richiesta e sui tempi di risposta Sarzana ammette: “Dipende da chi la fa e cosa chiede. I motori di ricerca quando si tratta di persona pubblica o per la quale ci sarebbe interesse fa sempre resistenza. Diverso è se non si tratta di personaggio pubblico. Sulle tempistiche, possono passare anche mesi, se non di più”. E qualora il motore di ricerca o il sito si opponessero? “Ci si può rivolgere al Garante della Privacy o ricorrere in sede civile. Ma si badi bene, che non si otterrà il risarcimento per i possibili danni subiti nel procedimento davanti al Garante”.

Sulla retroattività della norma, spiega ancora Sarzana, “essendo una disposizione di carattere processuale, che non è soggetta al principio dell’applicazione della legge successiva più favorevole al reo, come avviene nel diritto penale sostanziale, è difficile che si potrà applicare anche ai casi ante riforma Cartabia”. Inoltre “l’emendamento è stato approvato durante la discussione sulla riforma Cartabia del codice di procedura penale: è stato introdotto, dunque, un principio giudiziale non sostanziale. Agisce quindi solo in caso di procedimento penale, conclusosi con una archiviazione, proscioglimento o sentenza di non luogo a procedere”.

Il pezzo mancante, prosegue, “è quello che riguarda in realtà il vero diritto all’oblio: ossia la deindicizzazione o rimozione di qualsiasi atto passato (anche diverso da una inchiesta o processo) perché quelle informazioni non sono più attuali e la loro circolazione può danneggiare la reputazione del soggetto”. Ad esempio “se una persona che ha espiato una pena venti anni fa volesse, anche nel rispetto dell’articolo 27 della Costituzione che prevede la rieducazione del recluso, che nulla si sapesse su quanto accaduto non potrebbe trovare soddisfazione alla sua richiesta”. Nonostante queste limitazioni, conclude Sarzana “l’emendamento Costa assume una importanza rilevante in relazione ad una decisione della Cassazione dello scorso novembre, secondo la quale il Garante della privacy o il giudice possono disporre la deindicizzazione globale, ossia in tutto il mondo. È molto significativa questa decisione perché in una sorta di combinato disposto con la norma introdotta grazie all’emendamento di Costa siamo quasi in presenza di una cancellazione totale”.

C’è da segnalare che durante la discussione del decreto rave il Movimento Cinque Stelle alla Camera aveva presentato un ordine del giorno affinché le disposizioni sul diritto all’oblio, così come previste dalla Cartabia, non venissero applicate quando «Il soggetto o i comportamenti posti in essere dallo stesso abbiano rilevanza pubblica». Il Parlamento ha bocciato l’odg.