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Emilio Sirianni, presidente della sezione lavoro della Corte d'Appello di Catanzaro
Archiviato dal Tribunale di Locri e assolto dalla sezione disciplinare del Csm. Ma ora Emilio Sirianni, presidente della sezione lavoro della Corte d’appello di Catanzaro e segretario della sezione locale di Magistratura democratica, rischia di non essere confermato nel proprio ruolo, a causa delle frasi dette al telefono con Domenico Lucano, ex sindaco di Riace, condannato in primo grado per le sue politiche di gestione dell’accoglienza, le stesse che lo hanno reso famoso in tutto il mondo. Frasi ritenuti irrilevanti in ogni sede, ma che ora potrebbero costargli il posto.
A proporre la bocciatura della toga calabrese la V Commissione del Consiglio superiore della magistratura, che con cinque voti a uno (contrario Antonello Cosentino di Area) ha deciso di sottoporre al plenum la non conferma nel ruolo attualmente occupato. Ciò nonostante il suo comportamento sia stato ritenuto né penalmente né disciplinarmente rilevante, tant’è che la procura generale della Cassazione, tramite il sostituto Pasquale Fimiani, al termine del procedimento disciplinare aveva proposto il non luogo a procedere. Una scelta, quella di Fimiani, determinata dalla «impossibilità di rinvenire alcun elemento da cui desumere che l’attività di consulenza contestata avesse il carattere dell'abitualità e della professionalità incompatibili con il ruolo di magistrato». A luglio del 2020, dunque, il Csm accolse la richiesta, di fatto confermando che le sue affermazioni contro altri magistrati e politici non avrebbero generato un discredito per la magistratura, perché le frasi incriminate erano state pronunciate in un contesto privato - al telefono con Lucano - e non pubblicamente.
A promuovere l’azione disciplinare, il 30 maggio 2019, era stato l’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, a seguito della trasmissione, da parte della Corte d’Appello di Reggio Calabria, dell’informativa della Guardia di Finanza di Locri depositata nell'ambito del procedimento contro Lucano. Nel corso delle indagini era emerso il contatto assiduo tra Sirianni e l’ex sindaco, al quale la toga aveva più volte dato consigli su come comportarsi (compreso quello di evitare di parlare al telefono), esprimendo anche giudizi severi su diversi magistrati calabresi. A Sirianni era stato addebitato di aver compiuto «una attività idonea a creare concreto pregiudizio all’assolvimento dei doveri generali di riserbo, equilibrio e correttezza» ai quali è tenuto il magistrato. Bonafede contestava, in particolare, il fatto che Sirianni redigesse «atti amministrativi per conto di Domenico Lucano, sindaco di Riace sottoposto ad indagini da parte della Procura di Locri», confrontandosi costantemente con lui «sulle indagini penali in corso, fornendogli consigli e suggerimenti in ordine alla strategia difensiva da attuare da parte del difensore nominato». Inoltre, si legge nell’elenco degli addebiti allora mossi a suo carico, «forniva suggerimenti in ordine al tenore delle dichiarazioni da rendere in Procura; sviliva la professionalità dei magistrati che stavano svolgendo le indagini; predisponeva comunicati di solidarietà al Lucano da inoltrare alle mailing list di magistrati e si offriva di contattare giornalisti per pubblicizzare la situazione e “far sentire il fiato sul collo” alla Procura procedente».
Pur essendoci già un giudicato sul fatto, le strade della V Commissione sono più ampie. La decisione sulla conferma può dunque svincolarsi da quelle prese in sede di incolpazione, valutando tutte le «criticità» legate alle sue espressioni esterne, compresi gli eventi pubblici nei quali ha espresso la propria posizione rispetto alla vicenda Lucano e rispetto all’azione dei colleghi che avevano condotto l’indagine. Atteggiamenti nei quali, in buona sostanza, i membri della V Commissione hanno individuato una «denigrazione della giurisdizione», spesso non ravvisata in casi in cui di mezzo c’erano trattative legate a nomine e posti da spartire. La decisione è stata presa senza convocare Sirianni per sentire la sua versione dei fatti e senza che la stessa toga depositasse alcunché. E anche andando contro il parere del Consiglio giudiziario, che oltre a celebrarne le doti, la capacità organizzativa, la qualità dei provvedimenti e la capacità di smaltire il lavoro ha sottolineato come sotto il profilo della “indipendenza, imparzialità ed equilibrio” non ci sia «nulla da rilevare». Ora la pratica passerà al plenum, a cui sono appese le sorti del magistrato. Che in caso di bocciatura non potrà far altro che rivolgersi al Tar.